Categorie: Spazio

Scoperte le onde gravitazionali, o sono solo pettegolezzi?

Per ora è poco più che un gossip, da prendere con le pinze. Ma, dovesse venire confermato, si tratterebbe di una notizia importantissima per la fisica fondamentale, almeno quanto lo è stata l’identificazione del bosone di Higgs: i fisici del Laser Interferometer Gravitational-wave Observatory (Ligo) potrebbero aver appena rivelato, per la prima volta al mondo, il segnale di un’onda gravitazionale, una sorta di increspatura dello spazio-tempo generata da corpi estremamente massivi che si muovono nello Spazio, come per esempio stelle di neutroni che orbitano l’una attorno all’altra, o buchi neri che si fondono. La possibile scoperta è stata preannunciata da un tweet di Lawrence Krauss, cosmologo della Arizona State University, ma l’entusiasmo è stato raffreddato da fonti interne a Ligo, secondo cui l’analisi dati è ancora in corso ed è quindi troppo presto per urlare il proverbiale Eureka. Visto il precedente abbaglio di Bicep2 (un altro esperimento i cui scienziati, a fine 2014, dichiararono di aver osservato le onde gravitazionali, rivelatesi poi semplici artefatti prodotti da polvere galattica), comunque, è d’obbligo la massima prudenza.

Facciamo un passo indietro. Le onde gravitazionali, se possibile, sono ancora più elusive del bosone di Higgs. Se per quest’ultimo è passato quasi mezzo secolo tra previsione teorica e osservazione sperimentale, le onde gravitazionali si stanno facendo desiderare ancora di più: sono state predette giusto un secolo fa da Albert Einstein, come conseguenza delle equazioni di campo della teoria della relatività generale. E nonostante da allora le stia cercando mezzo mondo (lo European Gravitational Observatory in provincia di Pisa, per esempio, ma anche Lisa Pathfinder, la sonda Esa appena decollata), ancora nessuno è mai riuscito nell’impresa. Anche le prime osservazioni di Ligo, condotte dal 2002 al 2010, si sono risolte in un nulla di fatto. Il 18 settembre scorso, comunque, qualcosa è cambiato. Ligo ha cambiato nome (ora si chiama Advanced Ligo, o aLigo) ed è stato reso ancora più sensibile ai segnali. Pochi giorni dopo l’inizio dei primi test di aLigo è arrivato il cinguettio di Krauss:


Ai microfoni del New Scientist, lo scienziato ha mostrato tuttavia più cautela: <i>“Si potrebbe trattare di un segnale deliberatamente inserito nei dati per mettere alla prova il team di rilevamento. Ma mi hanno detto che non è così. Ma chi può dirlo con certezza”</i>. Ieri, Krauss è tornato a twittare, con enfasi ancora maggiore:

Dal canto suo, la collaborazione Ligo sostiene che gli scienziati stanno ancora analizzando i dati del primo run dello strumento, che è terminato oggi (12 gennaio): “Ci vuole parecchio tempo”, ha detto Gabriela González, della Lousiana State University, portavoce Ligo, “per analizzare, interpretare e ricontrollare i risultati. Ci aspettiamo di avere notizie migliori nei prossimi mesi”. Abbiamo atteso un secolo: qualche mese di pazienza possiamo ancora permettercelo.

Via Wired.it

Credits immagine: Henze, NASA

Sandro Iannaccone

Giornalista a Galileo, Giornale di Scienza dal 2012. È laureato in fisica teorica e collabora con le testate La Repubblica, Wired, L’Espresso, D-La Repubblica.

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