Scorie, il sito che verrà

A quindici anni dal referendum del 1987 la breve esperienza nucleare italiana non si può ancora considerare conclusa. E, nella migliore delle ipotesi, saranno necessari ancora 20 anni per chiuderla definitivamente. Ma per raggiungere questo obiettivo bisogna prendere delle decisioni politiche entro quest’anno.Un primo passo potrebbe compiersi nei prossimi giorni: entro settembre, infatti, la commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti dovrebbe occuparsi dell’individuazione di un deposito unico nazionale per i rifiuti radioattivi, oggi collocati in prevalenza nei siti in cui furono prodotti. Diversa la situazione degli altri Paesi che hanno percorso la via del nucleare: qui esistono dei siti unificati di raccolta che offrono numerosi vantaggi: il territorio è occupato più razionalmente e il livello di sicurezza è maggiore (un problema particolarmente sentito dopo l’11 settembre). Il Piano strategico sul nucleare, presentato nel 1999 dal ministro dell’industria del precedente governo, Pier Luigi Bersani, prevedeva l’individuazione del sito italiano entro il 2001, in modo da costruire il deposito per il 2009 e riportare alla condizione di “prato verde” i luoghi dove attualmente sorgono impianti nucleari entro il 2020. L’approccio di Bersani per la scelta del sito, caratterizzato da una partecipazione “dal basso” degli enti locali, ha però allungato i tempi. Il termine del 2020 può considerarsi ancora realistico, al costo, però, di intraprendere la via più “decisionista” indicata dall’attuale ministro delle attività produttive Antonio Marzano nel decreto “sblocca deposito”. Un approccio sintetizzabile nella formula “decide and defend” (decidi e difendi): individuare una rosa di siti appropriati e difendere questa scelta in Parlamento.Un’altra priorità è lo smantellamento delle centrali. Con questo obiettivo, nel 1999 è stata costituita la società pubblica Sogin (Società per la gestione degli impianti nucleari). Da allora la società ha sviluppato i “piani globali di decommissioning”, ovvero i progetti di smantellamento. Tuttavia, fino a quando non sarà disponibile il deposito definitivo, la società potrà svolgere solo una parte del suo compito: principalmente il condizionamento dei rifiuti delle centrali (cioè l’operazione che li predispone al deposito definitivo). Infatti non avrebbe senso smantellare le “isole nucleari” (ovvero i nuclei delle centrali contenenti il combustibile) prima di avere a disposizione un luogo di stoccaggio. Dal 2003, la Sogin dovrebbe prendere sulle proprie spalle anche il carico delle attività nucleari dell’Enea (ex ente nazionale per l’energia atomica). Non si tratta di un impegno leggero: i rifiuti Enea avrebbero dovuto essere condizionati ormai da decenni, e i termini delle proroghe alle prescrizioni di condizionamento scadono in alcuni casi molto presto (2005). Tuttavia alla Sogin non sembra esserci molta preoccupazione in merito perché si confida in ulteriori proroghe. Che effettivamente, data l’inadempienza dell’Enea, saranno probabilmente inevitabili.Una riflessione a parte va fatta sulla contabilità di queste attività. La gestione delle centrali costa circa 20 milioni di euro all’anno. E’ stato stimato che il costo di mantenimento di un deposito definitivo unico sarebbe circa la metà. Attualmente le spese di gestione del nucleare sono sostenute direttamente dal contribuente con un aggravio sulla bolletta della luce di circa 0,05 centesimi di euro (circa una lira) al kilowattora. Per una gestione migliore del denaro pubblico, ma soprattutto del territorio e della sicurezza, è necessario affrontare il problema in tempi brevi. Ma se le decisioni opportune non saranno prese sollecitamente, non si può escludere che i tempi si allunghino a dismisura.

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