Se la crisi nega la dignità

L’insicurezza dovuta alla crisi economica ha contribuito a mettere in secondo piano i diritti umani nel mondo. Lo denuncia il rapporto annuale di Amnesty International, che nell’occasione ha lanciato la campagna “Io pretendo dignità. Diritti umani = meno povertà”.

Su 157 paesi presi in analisi dal gennaio al dicembre 2008, sono almeno 81 quelli in cui sono state imposte limitazioni alla libertà di espressione, 50 i paesi dove si sono svolti processi iniqui, il 47 per cento dei quali fanno parte del G20, e 90 (74 per cento del G20) quelli in cui i prigionieri sono stati sottoposti a periodi di detenzione prolungata, spesso senza accusa né processo. Oltre 2.300 i prigionieri messi a morte in 25 paesi e altrettanti quelli che hanno subito torture e maltrattamenti in 80 paesi. Anche in questo caso il primato spetta ai paesi del G20, rispettivamente con il 78 per cento delle esecuzioni e il 79 per cento delle torture. Ben 27 paesi hanno respinto chi richiedeva asilo politico e 24 hanno eseguito lo sgombero forzato di migliaia di persone da insediamenti abitativi precari o terreni agricoli.

“Dietro alla crisi economica si cela un’esplosiva crisi dei diritti umani”, ha spiegato Christine Weise, presidente della sezione italiana di Amnesty. “La recessione ha coinciso con un aumento delle violazioni dei diritti umani e ha distolto l’attenzione da esse. Prima, i diritti umani erano messi in secondo piano in nome della sicurezza, ora in nome della crisi economica”. Basti pensare, si legge nel rapporto, alla negazione del diritto a una vita dignitosa per le comunità locali in paesi come Brasile, Messico e India, nonostante la crescita economica; al vertiginoso aumento dei prezzi dei beni alimentari e ai paesi come Corea del Nord, Myanmar e Zimbabwe, dove l’accesso al cibo è un’arma politica; agli sgomberi forzati di centinaia di migliaia di persone da insediamenti abitativi precari o terreni agricoli, in nome dello sviluppo economico. E ancora la reazione alla pressione migratoria da parte dei paesi di destinazione e di transito, che hanno adottato politiche ancora più restrittive, con l’Europa a indicare il cammino in collusione con governi come Mauritania, Marocco e Libia. A questo proposito, nella scheda che riguarda il nostro paese, Amnesty fa riferimento esplicito ai respingimenti dello scorso mese e ai recenti provvedimenti per i migranti irregolari.

Quanto ai conflitti, il rapporto ci dà la panoramica completa: dall’inizio del 2008 con la crisi in Kenya – oltre un migliaio di morti nelle violenze seguite alle contestate elezioni politiche – alla strage dei civili palestinesi, uccisi a Gaza nel corso dell’operazione “Piombo fuso”, lanciata dall’esercito israeliano in risposta al lancio di razzi da parte di Hamas. Senza dimenticare i conflitti in Sudan, nella Repubblica Democratica del Congo, in Somalia e nello Sri Lanka, per citarne alcuni. L’ombra della guerra ha fatto capolino anche in Europa con lo scontro tra Russia e Georgia. Altra nota dolente è la repressione.  “Lo abbiamo già visto in Tunisia, Egitto, Camerun e altri paesi africani, quando i governi hanno stroncato duramente le proteste per la situazione economica, sociale e politica. L’impunità della polizia e delle forze di sicurezza è risultata dominante”, ha detto Weise. Molti inoltre i giornalisti e i sindacalisti minacciati, aggrediti o uccisi nel corso del 2008, con la Russia e la Cina che continuano a essere i paesi più repressivi nei confronti della stampa e degli attivisti. (r.p.)

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