Anche gli indigeni dell’Amazzonia entreranno nel villaggio globale. Questo è lo scopo di Etno (Electronic Tepuys Networking Operation), un progetto che si propone di portare computer, know-how informatico e Internet tra gli indigeni del Bolivar e dell’Amazonas, due Stati nel cuore della foresta amazzonica venezuelana.
In cantiere ci sono workshop di informatica, corsi per imparare a programmare software e a costruire computer con pezzi riciclati. “Lo scopo” racconta Jose Rafael Leal (http://members.xoom.com/trastor/green1.htm), l’ideatore del programma “è di fornire agli indigeni una professionalità che consenta loro di inserirsi nel mondo del lavoro: formare tecnici informatici ma anche persone in grado di entrare nel commercio elettronico creando delle loro pagine web”.
Un programma ambizioso, a cui stanno lavorando due organizzazioni locali: Orpia (Regional Organization of Amazonas Indigenous People), guidata da Guillermo Guevara, e la Federazione Indigena dello Stato del Bolivar, il cui leader è Josè Luis Gonzales. L’idea nasce dall’esperienza fatta con altri progetti, come quello finanziato dall’Ambasciata canadese che ha avviato nel 1995 dei programmi di formazione turistica per gli indigeni. “Ma Etno” sottoline Leal, conosciuto da tutti come ‘Trastor’ “vuole fare di più. Infatti, siamo convinti che non basti insegnare agli indigeni a usare il computer e a diventare programmatori: la nostra idea è di creare una prima generazione di professionisti in grado di insegnare a loro volta la tecnologia digitale ad altri indigeni, per formare una catena didattica in grado di diffondere in modo autonomo una delle professioni più pagate nel Venezuela”. In questo modo, aggiunge Trastor, “anche se si dovessero interrompere i finanziamenti stanziati per i progetti dalle nazioni occidentali, il processo di formazione procederebbe in modo autonomo”.
Ma lo scopo principale è quello di fare entrare Internet nella vita quotidiana delle popolazioni locali. Anche grazie al nuovo piano di liberalizzazione delle telecomunicazioni previsto per l’anno prossimo: società come la AT&T, la Swisscom e altre entreranno nel mercato venezuelano, che potrà così passare dalle linee analogiche alla tecnologia digitale. “La rete potrebbe davvero cambiare la vita di questa gente, che avrebbe finalmente la possibilità di studiare con l’istruzione a distanza, di curarsi con la telemedicina, e anche di proteggere e diffondere la propria cultura con le e-mail e attraverso il web: Internet sostituirebbe così – almeno in parte – scuole, ospedali e mezzi di trasporto”.
Si prospetta insomma un paradossale salto tecnologico: una delle popolazioni più povere del mondo potrebbe ottenere uno standard di vita migliore attraverso strumenti d’avanguardia. Saltando tutte le tappe intermedie che i paesi occidentali hanno attraversato nel corso dei secoli. “Ovviamente” precisa Trastor, “gli indigeni non possono permettersi di comprare computer di ultima generazione. Per questo nel mio progetto intendo insegnare a costruire computer perfettamente funzionanti a partire da pezzi riciclati. Ottenendo un grande risparmio: nei dieci anni di professione di tecnico informatico” continua Trastor “ho notato che tutte le medie e grandi aziende rinnovano molto spesso la loro dotazione informatica, cambiando in continuazione il software e l’hardware. Materiali che per noi, invece, sono molto preziosi: bastano processori 286 e modem a 9600 bps per poter comunicare con tutto il mondo attraverso la rete ”.