Stamina, l’appello degli scienziati al ministro Balduzzi

Celeste, Smeralda, Sofia, Salvatore ed Erika. Nomi e storie diverse di malattia, ma tutti parte di quello che in questi mesi è diventato un caso sanitario, giuridico e mediatico. Quello che vede protagonista la Stamina Foundation. La onlus di Davide Vannoni, infatti, è depositaria del cosiddetto metodo Stamina, ovvero la somministrazione a scopo terapeutico di staminali come cura contro malattie degenerative. Un metodo del quale però non esiste protocollo vero e proprio, né alcuna conferma scientifica, e sul quale già lo scorso novembre una commissione voluta dal ministero della Salute era intervenuta, dichiarandolo potenzialmente pericoloso. E che oggi riceve un nuovo monito della comunità scientifica: tredici esperti di fama internazionale hanno infatti scritto una lettera al ministro della Salute Renato Balduzzi, preoccupati che l’ondata emotiva del caso stravolga il funzionamento della sanità e della somministrazione delle cure.

Perché, scrivono gli esperti in un appello diffuso oggi anche su Corriere e Repubblica, “scegliere per sé una terapia impropria, o anche solo immaginaria, rientra tra i diritti dell’individuo. Non rientra tra i diritti dell’individuo decidere quali terapie debbano essere autorizzate dal Governo, e messe in essere nelle strutture pubbliche o private. Non rientra tra i compiti del Governo assicurare che ogni scelta individuale sia tradotta in scelte terapeutiche e misure organizzative delle strutture sanitarie. Non sono le campagne mediatiche lo strumento in base al quale adottare decisioni di carattere medico e sanitario. Il diritto del singolo a curarsi con l’olio di serpente, se così reputa opportuno, non implica la preparazione dell’olio di serpente nella farmacia di un ospedale, né la sua autorizzazione da parte del Governo”.

Ma proviamo a riavvolgere i fili di un complicato caso che vede le aspettative dei malati da un lato e il necessario rigore della comunità scientifica dall’altro.

Lo scorso novembre il board di esperti era intervenuto in merito al caso, dopo che l’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) e il Tribunale di Brescia avevano imposto l’interruzione della somministrazione della terapia della Stamina Foundation. Di fronte prima alla decisione dell’Aifa a maggio di bloccare la somministrazione delle terapie presso gli Spedali Civili di Brescia, ribadita poi da un provvedimento preliminare del Tar, erano insorti i familiari dei pazienti che avevano fino ad allora beneficiato delle cure.

Così i genitori di Celeste Carrer, affetta da atrofia muscolare spinale, e Smeralda Camiolo, in coma dalla nascita dopo danni da asfissia si rivolsero al giudice del lavoro, ottenendo la continuazione delle terapie, in attesa di una decisione definitiva della sentenza preliminare emessa dal Tar (attesa per gennaio e a quanto pare rimandata a novembre di quest’anno).

Nel frattempo, però, il Ministero aveva provato a far chiarezza interpellando una commissione di esperti, che dopo aver esaminato la situazione si era espressa così: “Il Board, applicando i principi base dell’etica medica, ritiene che il progetto terapeutico e le condizioni di applicazione della terapia siano assolutamente insufficienti e senza valida documentazione scientifica e medica a supporto riconosciuta. Sottolinea che i rischi biologici connessi alla terapia sono gravi e inaccettabili e che la conduzione della metodologia non solo non ha rispettato le norme di manipolazione e sicurezza, ma anche i più elementari standard di indagine di laboratorio”.

Una condanna chiara al metodo Stamina che però non è riuscita a chiudere la questione. A riportarla alla ribalta in questi giorni è stato il caso della piccola Sofia, la bimba fiorentina affetta da leucodistrofia metacromatica al quale il tribunale di Firenze aveva imposto lo stop delle cura in virtù dell’ordinanza Aifa. Dopo un tam tam mediatico – passato attraverso la trasmissione Le iene e una lettera di Adriano Celentano al Corriere – il ministero della Salute aveva dato l’ok alla continuazione delle cure, dichiarando: “Quanto è stato fatto concilia il rispetto delle norme e delle sentenze della Magistratura con la situazione eccezionale nella quale si trova la bambina”.

Parallelamente c’era stata la sentenza del Tribunale di Torino su un altro caso, quello di Salvatore Bonavita, affetto dal morbo di Niemann Pick, a cui era stato consentito di procedere alle cure compassionevoli ma in una struttura che avesse le necessarie autorizzazioni sanitarie, e quindi non agli Spedali Civili di Brescia. A complicare la questione, infine la situazione della sorella di Salvatore, colpita dalla stessa malattia, ma alla quale i giudici avevano negato l’accesso alle stesse cure.

Malgrado i vari passaggi giudiziari, però, la questione dal punto di vista scientifico resta la stessa: il metodo Stamina, che si basa sull’infusione di staminali, rimane misconosciuto e non convalidato scientificamente. Motivo per cui, di fronte alle sentenze dei giudici, un gruppo di autorevoli scienziati, fra cui esperti di staminali, ma anche un giurista, un filosofo della scienza, uno storico della medicina e un rettore, ha sentito il bisogno di intervenire. A firmare l’appello sono stati Paolo Bianco, Andrea Biondi, Giulio Cossu, Elena Cattaneo, Michele De Luca, Alberto Mantovani, Graziella Pellegrini, Giuseppe Remuzzi, Silvio Garattini, Giovanni Boniolo, Gilberto Corbellini, Amedeo Santosuosso, Gianluca Vago.

Gli esperti scrivono, rivolgendosi al Ministro: “La comunità dei ricercatori e medici che lavora per sviluppare attraverso la ricerca e l’innovazione tecnologica trattamenti sicuri ed efficaci contro gravi malattie comuni o rare è perplessa di fronte alla sua decisione, sull’onda di un sollevamento emotivo, di autorizzare la somministrazione di cellule dette mesenchimali, anche se prodotte in sicurezza da laboratori specializzati. Non esiste nessuna prova che queste cellule abbiano alcuna efficacia nelle malattie per cui sarebbero impiegate” e continuano : “ci sembra questo uno stravolgimento dei fondamenti scientifici e morali della medicina, che disconosce la dignità del dramma dei malati e dei loro familiari. Una condizione che abbiamo presente e che ci motiva moralmente ed empaticamente a produrre e garantire risultati attendibili, visibili e pubblici, senza i quali nessuna ipotesi diventerà mai cura”.

Via: Wired.it

Credits immagine: kaibara87/Flickr

6 Commenti

  1. E’ l’intera società che si interroga.
    La medicina offre già oggi e più ancora offrirà domani metodi di cura, mezzi diagnostici, soluzioni per prolungare l’esistenza…
    Siamo stretti fra la necessità di mantenere in vità fin dal concepimento e a non lasciar morire…
    Chiunque, me per primo, avrebbe bisogno di un dio personale…
    La domanda, in apparenza cinica, è:
    se, come e quanto è disposta a pagare una società per la vita dei singoli senza chiedersi il perché.

  2. Se questi bambini,sono destinati solo che a morire,non capisco cosa può esserci di peggio.Se queste brave persone ,che come tali esseri umani possono anch’esse errare,hanno una soluzione alternativa alla loro fine,ben venga,ma se c’è solo un dichiarare la non sicura efficacia delle staminali si limitino a lasciar decidere chi decide con il cuore e non con la bocca o il portafogli. Penso che siamo esausti di sentire critiche sull’elaborato degli altri,facciano loro stessi qualcosa di concreto e …..senza dimenticare che Sofia,Joele ecc potrebbero essere i loro bambini.

  3. Cara claudia, prova a immaginare di fare un viaggio nel tempo.
    Per una pura casualità, sei catapultata, con una “macchina del tempo” insieme al tuo medico di base, nel bel mezzo dell’epidemia di peste del XIV secolo.
    Intorno a te, le persone muoiono come mosche e tu vorresti aiutarle.
    Il tuo medico ti ragguaglia che la peste è una malattia infettiva di origine batterica causata dal batterio Yersinia pestis; la peste, nei nostri giorni, si può curare con “banali” antibiotici, quali streptomicina, gentamicina, doxiciclina, cloramfenicolo, ecc.
    Peccato che nel XIV secolo non ci sia alcuna possibilità di produrre alcun antibiotico.
    Cosa fare?
    Bè, l’unica cosa che potresti fare in quelle circostanze è quella di provare a impedire l’effettuazione del salasso, che non serve a nulla e che solo indebolisce il corpo.
    Paradossalmente, il non far nulla, è in quel caso la scelta migliore. Anche se ciò – evidentemente – non può migliorare la prognosi, che rimane fatale.

  4. Claudia, sono d’accordo con te…
    … “Celeste, alla quale erano stati dati massimo 18 mesi di vita, vive ed ha raggiunto i due anni e due mesi e prosegue nei miglioramenti, certificati dai medici degli Ospedali Civili di Brescia, manifestati dopo l’avvio della terapia” …
    Articolo completo:
    http://www.ilgazzettino.it/regioni/veneto/il_caso_di_celeste_il_medico_giudice_ha_deciso_deve_continuare_con_le_staminali/appr/62227.shtml
    E non mi si venga a dire che questo, e diversi altri casi simili, è uno di quelli in cui è meglio non fare niente!!!
    Questo caso, insieme a quelli di diversi altri bambini, dovrebbe essere sufficiente a convincere chi non è troppo arrogante a farsi qualche domanda in più e a fare qualche “supplemento di indagine”. Credo che sarebbe di una stupidità inaudita, al di là di tutte le polemiche e interessi, il non fare l’impossibile per capire davvero come funzionano questi trapianti con metodologie diverse da quelle tradizionali e perchè i pazienti (o almeno una parte) ad essi sottoposti migliorano le loro condizioni.

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