Categorie: Salute

Storie di numeri e di animali

Alessandro MinelliEvo-Devo. Sei storie di numeri e di animaliNuova Argos, 2004pp.110, euro 19,00A un primo sguardo, ciò che più affascina della natura è la meravigliosa diversità degli organismi. Nel proseguire l’osservazione, ci si accorge però che ci sono molte somiglianze, almeno formali, tra viventi anche molto diversi tra loro. Nelle piante, ad esempio, le foglie sono disposte lungo gli steli secondo una progressione matematica precisa (la cosiddetta serie di Fibonacci). Oppure, in tutti i vertebrati – fatta eccezione per il lentissimo bradipo – le vertebre cervicali sono sette; le dita sono sempre e solo di cinque tipi (ma le dita possono essere più o meno di cinque). L’approccio evoluzionistico, di fronte a similarità così importanti, tira in ballo (a ragione) la selezione naturale: di fronte a situazioni ambientali simili, si sono evoluti alcuni caratteri adattativamente vantaggiosi, che si sono ‘fissati’ nelle specie. Come scritto da uno dei più grandi genetisti del Novecento, Theodosius Dobzhanski, nulla ha senso in biologia se non alla luce dell’evoluzione. Il volume di Minelli ci vuole però mostrare un nuovo approccio, sviluppatosi solamente negli ultimi tre decenni, che sta cercando di definire i meccanismi che generano queste somiglianze. Si tratta di una nuova prospettiva interdisciplinare, familiarmente chiamata ‘evo-devo’: Evolutionary Developmental Biology, da cui il titolo del libro. In questo innovativa cornice, si tengono insieme due istanze della biologia, quelle che Ernst Mayr aveva definito “delle cause prossime” e “delle cause remote”, che prendono in considerazione gli aspetti funzionale ed evolutivo delle scienze della vita. Evo-Devo significa invece andare alla radice delle somiglianze evolutive, e osservare le caratteristiche che si sono mantenute costanti nell’evoluzione, come appunto il numero di vertebre cervicali, o il meccanismo di segmentazione negli artropodi. Questi aspetti di similitudine tra organismi hanno un’origine comune: vi sono dei geni che, mantenuti quasi inalterati in milioni di anni e in centinaia di specie, controllano lo sviluppo dell’organismo, e ne decidono la disposizione spaziale. Finora è stata scoperta una famiglia di questi geni, i cosiddetti ‘geni HOX’, che controllano appunto la formazione dei diversi segmenti negli organismi: le diverse sezioni dell’esoscheletro (e le ali, le antenne, le zampe) negli insetti come la ripartizione delle vertebre (cervicali, lombari, ecc.) nei vertebrati. Sono pochi geni (circa una decina) che sono presenti nel moscerino della frutta (la drosofila, che ne ha circa otto) come nell’uomo (che però nel corso dell’evoluzione li ha più volte duplicati) e che mostrano la straordinaria conservatività dell’evoluzione: un bricoleur che ricicla più volte i materiali a disposizione, non un ingegnere che disegna a tavolino le strutture più efficienti.Un altro esempio citato da Minelli è il gene PAX-6: dalla drosofila all’uomo, ovunque ci sia un occhio, PAX-6 (chiamato nel topo ‘eyeless’) è attivo. Ciò che è veramente incredibile, è che esso controlla lo sviluppo di occhi strutturalmente molto differenti tra loro: basta osservare l’occhio di una mosca, con le numerose sfaccettature disposte su una superficie convessa, per rendersi conto della diversità dall’occhio umano. Sono questi alcune delle numerose storie che Minelli ci racconta, con chiarezza e bella penna, sulla natura che ci circonda. Una sorta di scherzosa prefazione divulgativa per il più difficile (pubblicato nel 2003 da Cambridge University Press) ‘The development of animal form’. Con parole semplici ma non banali conduce il lettore alle origini delle forme viventi conosciute. Un quadro di unità fondamentale che è una delle più forti prove a favore dell’evoluzione. Una lettura utile per tutti, un regalo perfetto per la ministra Moratti

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