Stregati da un ormone

Il cervello rimane l’organo umano più misterioso. Complice anche la barriera emato-encefalica, il “muro” che lo separa dal resto dell’organismo che solo alcune sostanze riescono a valicare e all’interno del quale non è più possibile misurare la concentrazione delle sostanze che vi circolano. Così come l’organo, anche le malattie a esso correlate sono di difficile definizione. Di molte di esse si conoscono le manifestazioni e i sintomi, ma non le cause scatenanti. Di alcune di queste si è parlato durante il 4° Congresso Internazionale “Genetics and Regeneration in Neuroscience” che si è svolto a Terni dal 27 al 30 giugno scorso, organizzato dalla Fondazione Agarini.Prima fra tutte l’autismo, una patologia quantitativamente importante quanto l’Alzheimer che necessita di una assistenza sanitaria ‘long-life’ con costi sociali da capogiro. Dal 1980 al 2000 gli studi su questa malattia sono quadruplicati e hanno permesso di formulare un quadro più preciso, anche se incompleto. Si ipotizzano cause ambientali: vaccini, tossine, fattori autoimmuni, neurologici. Dal punto di vista anatomico è stata osservata una eccessiva proliferazione dei neuroni con un aumento della materia bianca e grigia, sovradimensionamento del cranio probabilmente a causa del mancato ‘pruning’ a due anni (il fenomeno di eliminazione dei neuroni in sovrannumero).Alla fisiologia del cervello guarda anche Thomas Insel, direttore del National Institute of Mental Health, branca dei National Institute of Health statunitensi, che nelle persone affette da autismo ha ipotizzato un malfunzionamento dei due peptidi prodotti nell’ipotalamo e attualmente indagati come i maggiori responsabili della costruzione dei legami sociali: ossitocina e vasopressina. Che relazione c’è tra i due peptidi e la capacità di stare in mezzo ad altri esseri umani? “Studi sui mammiferi” ha spiegato Insel a Terni “hanno dimostrato che l’ossitocina ha un ruolo primario sia nell’attaccamento che nel riconoscimento sociale. In maniera più ampia sembra che l’OT sovrintenda a tutti i legami di attaccamento, da quello madre-figlio a quello con il partner (infatti è secreta abbondantemente durante il rapporto sessuale) sino a quello con il gruppo di appartenenza. Si è notata inoltre una distribuzione diversa dei vari recettori nel cervello a seconda delle specie e il pattern di espressione del recettore ha un corrispondente preciso nel comportamento: quindi si trovano maggiori recettori nelle specie che per esempio accudiscono i figli dopo la nascita e in quelli che vivono in branco rispetto ai ‘solitari’. La secrezione di ossitocina e vasopressina è associata a sensazioni di ricompensa, un circolo virtuoso di gratificazione reciproca”. Tanto per fare un esempio al momento del parto sia la madre che il figlio sono ‘ubriachi’ di ossitocina e questo favorisce il cosiddetto ‘bonding’, il legame di attaccamento primario, che si manifesta nei primi attimi di vita. Altresì è stato osservato che l’ossitocina viene secreta durante un massaggio e nel neonato, durante le coccole e i toccamenti della madre. E proprio a proposito di coccole una recente ricerca su Nature Neuroscience sembrerebbe aver dimostrato che le coccole durante la primissima infanzia sarebbero in grado di proteggere il bebè dallo stress per il resto della vita. I ricercatori della McGill University di Montreal, in Canada, suggeriscono la capacità delle carezze di plasmare i geni, in particolare quello che codifica il recettore dei glucocorticoidi. Forse un costante afflusso di ormoni antistress nel cervello giovane, innescherebbe un meccanismo protettivo e gratificante che agirebbe come difesa dagli stress futuri, tramite ‘buone sinapsi’. I ricercatori invece sostengono che l’ambiente e i comportamenti possano intervenire sui geni in modo che l’influenzamento sia a due vie, mentre sino ad oggi era stato sostenuto che i geni influenzassero il comportamento e non potesse avvenire il contrario. Anche alcune ricercatrici del Cnr hanno tentato di svelare il meccanismo psicobiologico alla base del bonding misurando le sostanze coinvolte. E hanno verificato che nel momento in cui tra madre e figlio scatta il primo sguardo e quindi si gettano le basi di un legame esclusivo, nel cervello si verifica una vera esplosione di oppiacei endogeni, di cui fanno parte anche le endorfine e che hanno come corrispondente in natura oppio, morfina ed eroina. Questo spiegherebbe in parte la forma di ‘dipendenza’ che il neonato ha dalla propria madre e come sia per lui esasperante affrontare il distacco da essa. Mentre si riteneva che la dipendenza del neonato dalla madre fosse solo una necessità per garantirsi la sopravvivenza (cibo e protezione), sembra che la deprivazione dalla madre provochi una vera e propria crisi di astinenza. E’ stato creato in laboratorio un modello animale che non reagisce agli oppiacei e che, di fronte alla separazione dalla madre, mostrano indifferenza, al contrario di ciò che accade nei topolini normali che piangono disperatamente e a lungo se la madre non accorre ai loro richiami. Questo non fa che riportarci all’autismo. La scoperta infatti è una indicazione sperimentale che nei bambini autistici l’indifferenza sociale sia legata proprio a un cattivo funzionamento degli oppiacei naturali.

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