Sud chiama Sud

Dopotutto, il 2015 è vicino e fin qui non molto è stato fatto. Man mano che il termine ultimo per portare a compimento gli otto Obiettivi del millennio delle Nazioni Unite si avvicina, si affievoliscono anche le speranze di credere in un mondo, che tra meno di dieci anni, dovrebbe aver sconfitto la povertà, la fame, le discriminazioni sessuali, la mortalità infantile, l’analfabetismo, la malaria e l’Aids. La promessa di offrire un posto migliore dove vivere alla maggioranza della popolazione mondiale che versa in condizioni infelici è una sfida senza pari, e negli anni siamo stati abituati a registrare più fallimenti che successi. Ma c’è chi di questa sfida ne ha fatto la propria “mission”. È il caso, per fare un esempio italiano, dell’International Centre for Science and High Technology di Trieste, un’istituzione scientifica internazionale che opera sotto l’egida dell’Unido (United Nations Industrial Develpment Organization), di cui condivide gli stessi obiettivi: trasferire tecnologie avanzate ai paesi in via di sviluppo e alle economie emergenti (Cina e India) per uno sviluppo industriale sostenibile, nel rispetto dell’ambiente.

Sì, ma come riuscirci? Facendo in modo che i paesi di Africa, Asia, America Latina possano aiutarsi da soli, e collaborare fra di loro. In altre parole, l’Ics è una palestra dove si sta sperimentando un diverso modello di sviluppo: la cooperazione Sud-Sud. “Cerchiamo di promuovere l’interscambio di know-how tecnologico fra i paesi in via di sviluppo che sono più avanzati su certi campi verso quelli che lo sono meno. È un legame più naturale, la tecnologia smette di essere qualcosa che cala dall’alto dai paesi ricchi verso quelli poveri”, dice Giusto Sciarabba, direttore di Ics. Niente assistenzialismo, quindi. Sviluppo, qui, significa formare risorse umane del posto, fornire ai locali gli strumenti per la sussistenza, renderli autonomi e indipendenti, permettendo alle popolazioni di restare nei propri territori e muovendo lo sviluppo di nuovi mercati, posti di lavoro ed economia di scambio.

Ogni anno, studenti da ogni parte del mondo approdano all’Ics. Si fermano per un anno o due, il tempo necessario per realizzare un prototipo, perfezionare una tecnologia, trovare soluzioni. Poi ripartono. Tornano nel loro paese, dove trasferiscono quanto appreso, cosicché la catena della conoscenza possa proseguire. Sciarabba ci racconta alcune storie di successo: “Alcuni borsisti cubani hanno studiato come estrarre etanolo da biomasse, in particolare dalla melassa della canna da zucchero, di cui l’isola è molto ricca. Una volta ottimizzato il processo, sono andati a presentarlo a Cuba e la soluzione è adesso operativa negli impianti di produzione di energia. Una ricercatrice ghanese, invece, ha messo a punto a Trieste un kit trasportabile basato su tecnologia laser per il training di tecnici nel settore fibre ottiche. In Ghana è già stato utilizzato per la formazione di tecnici specializzati locali e sarà presto usato anche in Camerun”.

Il costo è un fattore cruciale per la riuscita dei progetti. “Per risolvere il problema della mancanza di energia elettrica in villaggi africani e indiani, il centro è intervenuto nella realizzazione di un sistema a pannelli solari che alimentano lampadine da 60 Watt. Il costo del sistema (70-80 euro), è l’equivalente del cherosene consumato in un anno”, continua il direttore. “Oltre a evitare l’inquinamento, si prevengono incidenti domestici e gli stessi pannelli poi possono essere impiegati nel deserto come fonte di energia, lì dove sembra impossibile produrla e certamente non è pensabile trasferirla via cavo”.

Diverse soluzioni tecnologiche che prendono forma nel centro triestino aprono nei paesi in via di sviluppo nuove prospettive economiche alle classi più povere: è il caso, per esempio, degli essiccatori solari di pesce, realizzati in India, che utilizzano il calore solare per il processo di essiccazione del pesce. Permettono la conservazione del pesce, ma favoriscono anche la nascita di attività di compravendita garantendo alle famiglie dei pescatori un mercato ittico anche nei periodi non pescosi. Sembra la strada giusta per invertire le sorti di chi pare averle segnate.

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