Categorie: Società

Superlaser con le stellette

Cosa faranno i francesi dopo la fine dei test nucleari nel Pacifico? Come può una potenza nucleare essere sicura dello “stato di salute” del proprio arsenale atomico, se non è più possibile effettuare delle esplosioni sperimentali? L’idea che circola in molti ambienti militari e scientifici è che sia possibile ricavare le informazioni necessarie “simulando” al computer le esplosioni nucleari, o almeno alcuni istanti di queste, con modelli numerici basati sui dati ottenuti dai test nella Polinesia francese. Tuttavia, anche volendo seguire questa soluzione, non tutti i dati necessari sono attualmente disponibili, e comunque i risultati ottenuti al computer devono essere verificati con misure sperimentali fatte in laboratorio. Un’altra strada potrebbe allora essere quella di simulare su scala molto più piccola l’innesco di una bomba nucleare tramite esperimenti effettuati con laser. Per questo è attualmente in costruzione vicino a Bordeaux il laser Megajoule, che che costerà 6,5 miliardi di franchi e sarà terminato entro il 2010 (una versione più piccola sarà però operativa già nei primi anni del 2000). Con il suo gemello americano Nif (National Ignition Facility) Megajoule sarà uno dei più grossi laser del mondo.

Questo progetto esce dalla Direction des Applications Militaires (Dam) che per oltre 30 anni ha studiato l’interazione dei fasci laser di potenza con bersagli termonucleari fatti di deuterio e trizio (gli isotopi dell’idrogeno alla base delle bombe H). Negli stessi anni, in molti laboratori di tutto il mondo i ricercatori stavano cercando di ottenere la fusione nucleare a confinamento inerziale (Icf): la “fusione calda” per usi civili. In passato la ricerca sulla Icf è stata gravemente ostacolata in molti paesi dalle autorità militari, preoccupate che la divulgazione di informazioni potesse favorire la proliferazione nucleare e che nuove nazioni entrassero in possesso dell’arma atomica. Ma negli ultimi tempi lo stesso Department of Energy (Doe) statunitense ha cambiato opinione sulla questione, permettendo la divulgazione di quasi tutti i risultati sperimentali sulla fusione. Inoltre il laser americano Nif è stato destinato a impieghi sia civili che militari.

Invece per Megajoule la questione è diversa: almeno per il momento sembra destinato esclusivamente a scopi militari. Forse anche per questo alcuni degli scienziati più impegnati sul fronte del disarmo temono che i laser giganti potranno non solo assicurare la verifica della affidabilità delle armi nucleari esistenti, ma anche servire a produrre armi nuove. Per esempio Sebastian Pease, ex-direttore dei laboratori di Culham in Inghilterra e membro del movimento Pugwash, sostiene che i laser giganti ”…servono solo a mantenere la struttura tecnologica dei laboratori nucleari in Francia e negli Usa. Questi hanno il potenziale per sviluppare armi atomiche e… se riuscissero a fare esplosioni termonucleari senza usare come “miccia” un dispositivo a fissione (cioè una bomba all’uranio) tutta una serie di nuove armi terribili potrebbe essere prodotta”. Di avviso altrettanto negativo anche Georges Charpak del Cern, premio Nobel per la fisica, e Richard Garwin.

Ma non tutti la pensano così. Per esempio Joseph Rotblat, fisico, ex-presidente del Pugwash e vincitore del premio Nobel per la pace, pensa che questi laser saranno più importanti per la ricerca sulla Icf che per i possibili usi militari. In effetti la maggior parte degli scienziati impegnati nella ricerca sulla Icf o sul fronte del disarmo nucleare pensano che non sia nemmeno lontanamente possibile simulare le esplosioni nucleari su scala ridotta per poi estrapolare i risultati a bombe che sviluppano un’energia un miliardo di volte maggiore. A questo punto la costruzione dei laser giganti avrà solo lo scopo positivo di stimolare l’industria che li produce e la ricerca sull’interazione della luce laser con i materiali. A cominciare proprio da quella sulla Icf.

D’altra parte appare senz’altro preoccupante come un progetto scientifico della rilevanza di Megajoule sia portato avanti con scopi e sotto il controllo militare. Anche la prospettiva di fare ricerca sulla Icf come “ripiego” non è certo allettante. Un programma civile mirato su questo tema, magari con il coinvolgimento di altri paesi europei, potrebbe produrre risultati in modo molto più rapido ed efficace.

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