Svelato il segreto delle aurore polari

Un’enorme simulazione al computer fa finalmente chiarezza sul fenomeno alla base delle aurore polari e risolve un enigma astrofisico, salvando anche molti satelliti e sonde dalla distruzione. A svelare il mistero è il lavoro diJan Egedal,del Massachusetts Institute of Technology (MIT) e del Plasma Science and Fusion Center, in collaborazione con Ari Le e William Daughton del Los Alamos National Laboratory, pubblicato su Nature Physics.

Le aurore polari sono conseguenza dell’accelerazione di un gran numero di elettroni in parte della “coda” del campo magnetico terrestre, chiamata regione di ricombinazione. In questa area, il flusso di particelle elettricamente cariche provenienti dal Sole, noto come vento solare, sposta il campo magnetico terrestre comprimendolo da un lato e tirando come una sorta di elastico dall’altro (vedi immagine). Quando l’elastico viene rilasciato, e dunque il campo magnetico torna al suo stato naturale, viene liberata una grande quantità di energia. Questa accelera gli elettroni verso gli strati più alti dell’atmosfera del nostro pianeta, dove generano la meraviglia delle aurore polari, rappresentando però anche una minaccia per i tanti satelliti in orbita (vedi  Galileo).

Quello che finora metteva in crisi gli scienziati era il numero elevato di elettroni generato in questi eventi misurato dalle sonde spaziali. Teoricamente, prendendo in considerazioni le dimensioni stimate finora della regione di ricombinazione, queste non sarebbero sufficienti per sostenere il campo elettrico necessario ad accelerare quel numero di elettroni.

Invece, simulando il moto di ben 180 miliardi di particelle durante un evento di ricombinazione magnetica, il team di ricercatori ha scoperto una regione attiva nella coda magnetica dellaTerra, dove avviene continuamente ricombinazione magnetica, circa 1000 volte più grande rispetto a quanto immaginato. La massiccia simulazione numerica ha richiesto 11 giorni di calcolo in parallelo su 25000 dei 112000 processori del supercomputer Kraken, presso il National Institute for Computational Science dell’Oak Ridge National Laboratory in Tennessee.

“Finora, si riteneva che la regione di ricombinazione fosse troppo piccola”, racconta Jan Egedal, “ma adesso abbiamo dimostrato che può essere molto vasta, e perfettamente in grado di accelerare molti elettroni”, in accordo con le osservazioni di missioni spaziali come Cluster.

A dare ulteriore valore allo studio, oltre l’aver risolto il mistero delle aurore, è il fatto che questi elettroni carichi possono danneggiare o distruggere le nostre sonde. Simulazioni come questa permetteranno di prevedere l’arrivo di questi fenomeni e porre in salvo i satelliti. Inoltre, potrebbero essere usate anche per studiare fenomeni simili che avvengono nel plasma magnetizzato distribuito su regioni molto più grandi: nella materia eruttata dalla corona solare, in prossimità delle pulsar o di altri oggetti ad alta energia nello spazio profondo.

Riferimenti: Nature Physics doi:10.1038/nphys2249

Credit immagine: Nasa 

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