Teoria pigliatutto

La relatività generale e la meccanica quantistica – gli strumenti teorici oggi disponibili per descrivere ciò che succede sulla Terra e nell’Universo sia a livello macroscopico che microscopico – non sono però sufficienti a soddisfare tutte le curiosità di alcuni fisici. Per esempio dell’olandese Gerardus ‘t Hooft, premio Nobel per la Fisica nel 1999. Che ha intrapreso l’ardua strada che dovrebbe portare alla “Teoria del Tutto”: uno strumento concettuale che, senza contraddizioni, riesca a spiegare le regole che governano tutti i fenomeni fisici, dai buchi neri ai quark. La sua avventura teorica è stata oggetto di un intervento alla Scuola Internazionale di Fisica Subnucleare di Erice. Gerardus ‘t Hooft è il primo teorico, dopo Albert Einstein, a cercare la “Teoria del Tutto” partendo dalla convinzione che “la meccanica quantistica è incompleta”. La grande maggioranza dei fisici pensa, invece, che la meccanica quantistica sia una teoria completa, dando per scontata la fine della causalità rigorosa. “A prima vista”, afferma ‘t Hooft, “i fenomeni che si verificano attorno ai buchi neri sembrano spiegabili con la meccanica quantistica, ma a ben guardare intervengono invece effetti di fisica non nota”. Il riferimento è alla perdita dell’informazione: tutto quello che viene fagocitato dai buchi neri non è più identificabile; un vero paradosso, in contrasto con la meccanica quantistica secondo cui l’informazione deve essere conservata qualunque sia la trasformazione subita. Secondo ‘t Hooft, per spiegare questo paradosso, “è necessaria un’interpretazione deterministica (bisogna cioè applicare un metodo di indagine sperimentale alla natura, ndr) a livello più microscopico di quello atomico – nucleare. Al momento non c’è una teoria ed è come un cerchio chiuso: io intendo entrare dentro il cerchio e andare verso la scala di Planck”, vale a dire verso la massima scala di energia. ‘t Hooft si pone, dunque, nettamente a favore del determinismo, sullo stesso piano di pensiero di Einstein secondo cui “Dio non gioca a dadi”. Il paradosso della perdita dell’informazione per ‘t Hooft sembra essere, addirittura, un elemento positivo, una pedina che completa il mosaico: “bisogna includere gli effetti della gravitazione contemplando la perdita di informazione nei buchi neri”.Stephen Hawking, il celebre astrofisico che ai buchi neri sta dedicando tutti i suoi studi, considera la perdita di informazione un’incertezza di più della fisica: per lo studioso britannico i buchi neri, evaporando, emettono sotto forma di energia tutta la materia fagocitata. Per il premio Nobel olandese, invece, bisogna andare verso una teoria quantistica che incorpori la gravità. Ma perché un fisico teorico che si occupa dei costituenti fondamentali della materia è così interessato ai buchi neri? La risposta è semplice: è in questi oggetti celesti che la relatività generale di Einstein e la meccanica quantistica di Bohr si sovrappongono: all’interno dei buchi neri, la presenza di un intensissimo campo gravitazionale fa si che la materia diventi estremamente densa; questa densità accende un’interazione tra le particelle della materia e il campo gravitazionale. Il sogno è, quindi, quello di trovare quella “Teoria del Tutto”, che calza su misura per spiegare sia le galassie che le particelle subnucleari. In questa direzione si per esempio colloca la teoria delle superstringhe di Gabriele Veneziano.Ma le affascinanti ipotesi dei cervelli della fisica moderna, per essere “promosse” devono trovare rispondenza nella pratica sperimentale. Fra i ricercatori di tutto il mondo c’è attesa per l’entrata in funzione al Cern di Ginevra dell’Lhc (Large Hadron Collider). Il direttore del più grande laboratorio di fisica del mondo, Luciano Maiani, ha confermato nel corso dell’incontro di Erice che l’acceleratore sarà attivato nel 2007. La macchina gigante, oltre che andare a caccia del bosone di Higgs – la cui esistenza è postulata dal modello standard – e a riprodurre la “zuppa” di quark e gluoni liberi, che ha caratterizzato il momento del Big Bang e i primi istanti di vita dell’Universo, potrebbe creare dei mini buchi neri virtuali. Chissà se queste strutture in miniatura, generate in laboratorio, potranno chiarire i misteri che avvolgono il mondo in cui viviamo.

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