Testimonianze genetiche

Sciogliere dubbi di paternità o ricostruire la scena di un delitto. Sono molti i casi in cui la giustizia ricorre al test del Dna. Uno strumento utile nelle indagini, che aiuta a risolvere casi controversi ma che può anche sbagliare. Una tecnica nuova il cui impiego ha bisogno di essere regolamentato, soprattutto in Italia. Della genetica al servizio della giustizia Galileo ha parlato con Amedeo Santosuosso, giudice del tribunale di Milano e membro del gruppo promotore dello European Network for Life Sciences, Health and the Courts, una rete di scienziati e giudici che si occupa di migliorare i rapporti tra scienza e legge. Come viene usato il test del Dna in tribunale?”Nel processo civile il test del Dna serve per accertare la paternità ed è una modalità d’indagine particolarmente sicura. Nel processo penale, è possibile confrontare le caratteristiche genetiche di una persona indagata con le tracce biologiche trovate sul luogo del delitto. Si ricorre a questo test soprattutto per escludere il coinvolgimento di una persona in casi di omicidio. Si fa, in altre parole, un uso negativo del test, scagionando l’indiziato per incompatibilità del Dna. Negli Usa c’è un’iniziativa ‘Innocence Project’ che chiede il test del Dna per riesaminare i processi di alcuni detenuti condannati a morte. In molti casi questo test ha portato alla revisione della sentenza”. Che cosa succede quando si trova un Dna compatibile?”Che le prove a carico di una persona diventano più consistenti. Ma anche il test del Dna può sbagliare. Un esempio recente è il caso del barista di Liverpool Peter Hankin accusato di essere l’assassino della donna trovata morta nella pineta di Castiglioncello, in Versilia, lo scorso agosto. Un primo esame aveva riscontrato una compatibilità tra il suo Dna e quello delle tracce biologiche raccolte sul luogo del delitto. Il profilo genetico del probabile assassino era stato diffuso all’estero dalla polizia italiana. Una prima comparazione su 6 – 8 regioni del Dna aveva mostrato una sovrapposizione tra i due profili, poi smentita da un esame più accurato. Hankin, d’altra parte, aveva un alibi di ferro e il suo caso dimostra che l’uso positivo del test può essere rischioso e che il confronto tra i profili genetici è tanto più accurato quanti più ‘luoghi’ del genoma vengono presi in considerazione”.Con quale frequenza viene usato il test del Dna in Italia?”Nel nostro paese c’è una situazione paradossale, perché abbiamo delle strutture investigative all’avanguardia ma che devono sottostare a norme deficitarie. La legge italiana dice che non si può ottenere un campione biologico contro la volontà di un individuo. Un ostacolo per le indagini e, anche se dal 1996 c’è una sentenza della Corte Costituzionale che suggerisce un’integrazione nel codice di procedura penale che obbliga l’indiziato al test genetico, tale aggiunta non è stata mai fatta. C’è poi da organizzare una regolamentazione dei dati genetici di un individuo: in Italia non c’è una legge sulle banche del Dna e non si sa che fine facciano le informazioni raccolte sul patrimonio genetico delle persone”. Quali progressi ha portato la genetica nel processo civile?”Il test del Dna ha introdotto un affinamento della possibilità di accertamento della paternità. Ma ha anche introdotto derive, come i siti Internet che vendono per corrispondenza questo esame. Test ‘fai da te’ che presentano dei rischi: un accertamento si può fare anche con un solo capello del bambino ma, dato che questi siti sono attività commerciali non danno alcuna garanzia sulle modalità tecniche dei test. E non solo: alle persone che fanno richiesta della prova, dopo averne ricevuto l’esito, non viene offerto alcun supporto psicologico”.

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