Tibet, una voce per ricordare

“Nel 1959, quando il Dalai Lama fuggì dal Tibet insieme a centomila tibetani, entrai a far parte del movimento di resistenza all’occupazione cinese. Dopo pochi mesi mi arrestarono davanti ai miei due figli e mi portarono via in catene. Con me furono catturati anche 40 donne, molti uomini e monaci per condurci nella prigione di Dartsedo, uno dei luoghi più terribili che un essere umano può temere di incontrare: l’inferno sulla terra. Lì, su circa trecento prigionieri politici, siamo sopravvissuti solo in quattro, gli altri sono morti di fame o sono stati uccisi dalle guardie di Pechino”.

Oggi Ama Adhe vive a Dharamsala, un villaggio dell’India settentrionale, sede anche del Dalai Lama e del governo tibetano in esilio. “Ho lasciato il mio paese nel 1987 per parlare al mondo a nome delle centinaia di migliaia di tibetani a cui questo diritto è stato negato con l’intimidazione, l’arresto, la tortura e la morte. Molte persone ancora non riescono a credere al genocidio che è in atto. Da quando i cinesi ci hanno invaso, nel 1949, più di un milione di tibetani è morto. Da allora il regime non ha mai smesso di opprimerci, di distruggere i monasteri, di arrestare i monaci e di uccidere i dissidenti ”.

Certamente non è facile scoprire la verità. Alle delegazioni in visita, infatti, dice Ama Adhe, viene fatto vedere solo quello che vogliono i cinesi. ” In quelle occasioni la gente nei villaggi è costretta a camminare per le strade sorridendo, a portare gioielli e a indossare vestiti nuovi consegnati dagli stessi cinesi. I detenuti e le prigioni vengono ripuliti, a volte le celle sono abbellite con dei fiori, e dei pezzi di pane vengono buttati per terra come simbolo di abbondanza di cibo”.

Ma oltre alle terribili verità che racconta, quello che colpisce in Ama Adhe, che ha perduto il marito, un figlio, i parenti, gli amici e la libertà del suo popolo, è la serenità con cui continua a vivere.” Solo la fede in Sua Santità il Dalai Lama ci permette di sopravvivere. Con la sua guida abbiamo potuto conservare la nostra cultura, e sarà solo grazie al suo impegno se un giorno potremo tornare a vivere con dignità in un Tibet di nuovo libero”.

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here