Tra verità e bellezza

Quando la TwoTen Gallery del Wellcome Trust di Londra ha aperto i battenti nel 1994, il suo scopo era organizzare mostre ed eventi che esplorassero le possibilità di una simbiosi felice tra scienze biomediche e arte contemporanea. La mostra “Truth & Beauty”, inaugurata il 6 novembre 2002, risponde pienamente a questo obiettivo ambizioso affiancando il lavoro di artisti, designer e registi la cui opera si è ispirata alla ricerca scientifica contemporanea, alle immagini scientifiche premiate dai Biomedical Image Awards del 2002, recentemente acquistate dalla Medical Photographic Library dell’ente no profit londinese. La mostra affronta la complessa quanto antica disputa che ha per protagoniste arte e scienza sul rapporto tra verità oggettiva ed esperienza estetica, confronto su cui le moderne tecnologie fotografiche e di riproduzione dell’immagine influiscono pesantemente. Una foto scientifica può essere considerata arte? Quanto è “veritiera”? Una volta selezionata, manipolata, migliorata, può ancora essere considerata ‘oggettiva’? Le osservazioni scientifiche sul mondo sono più “vere” o più valide di quelle artistiche?“Organism Footprints 2000”, di Heather Barnett, per esempio, è un’installazione composta da immagini fotografiche che illustrano la crescita dei batteri in una piastra di gel dove si posano dei piedi umani appena lavati. Viste dall’alto, le macchie scure della crescita batterica che si distribuiscono intorno le eteree impronte luminose ricordano gli spruzzi di vernice su tela prodotte dall’arte contemporanea. Ma viste da vicino, offrono al visitatore l’evidenza – un po’ inquietante a dire il vero – dei microrganismi invisibili che vivono tranquilli sulla pelle di ognuno di noi.La mostra comprende anche una selezione fotografica delle immagini vincitrici del Biomedical Image Award, una serie di scatti ingranditi di cellule del sangue, campioni di Dna, fibre nervose, batteri e fauna marina, tutti accompagnati da una breve spiegazione scientifica. Al di là del valore divulgativo e scientifico dell’esposizione, la cosa che colpisce di più il visitatore è la grande attrattiva formale ed estetica delle immagini scelte, un aspetto che le rende veramente vicine alla parola ‘arte’. Se all’inizio le foto vengono apprezzate solo in quanto immagini, con i loro colori così vividi, le forme astratte e composizioni, il testo che le accompagna illumina il loro significato biologico profondo, aprendo le porte di un mondo scientifico stupefacente, a volte inquietante, e spesso sconosciuto ai più.Ad esempio, “We all love to eat!” è una straordinaria immagine, bellissima, che mostra le cellule del corpo umano in un modo che evoca il ricordo di un altro mondo immaginario e oceanico. Ma la bellezza estetica di questa composizione è messa in ombra quando si legge nella didascalia che le cellule in questione provengono da un tumore maligno, ripreso mentre si “nutre” di globuli bianchi e rossi perfettamente sani.Da segnalare anche l’immagine che ritrae una struttura a ragnatela rarefatta, la cui fragilità ricorda filamenti allungati di plastilina. Ancora una volta, si rimane spiazzati quanto si scopre che la foto rappresenta le ossa di una persona affetta da osteoporosi e che la delicatezza formale della foto, il fatto che la rende attraente da vedere, è in realtà l’espressione triste e dolorosa della fragilità della vita.Questioni come il tempo, la fecondità, il conflitto tra pericolo e sicurezza nella natura sono esaminati nell’opera “Vessell” di Tracey Holland, una lunga serie di pannelli translucidi che raccolgono le immagini al microscopio della crescita e della divisione cellulare, combinate e accompagnate da elementi fotografici come spermatozoi, uova di uccelli, girini, rane e ricci di mare. L’opera di Holland crea un surrealismo squisito ed etereo, in qualche modo simile all’atmosfera delle opere di Dalì. Gli oggetti ruotano in un mondo embrionale e primitivo, un’immagine che esprime la pace, il silenzio e il senso di sicurezza del mondo acquatico e interiore abitato dal feto che si sta sviluppando.L’opera più importante della mostra è forse quella di Barbara Strasen, “Ingest, Gambol, Masticate” che incorpora letteralmente i temi centrali della mostra, la relatività della bellezza e, in ultima analisi, anche della “verità” scientifica a cui è accostata. L’artista ha creato una serie di ologrammi in cui le immagini biomediche si combinano in modo giocoso con immagini del mondo esterno come gioielli o pezzi di computer, suggerendo paralleli inaspettati, mentre ruotano e si trasformano uno nell’altro. Le combinazioni più evocative sono quelle in cui le somiglianze suggeriscono relazioni curiose o inaspettate: una stringa di batteri che si trasforma in un filo di perle, la metamorfosi di un flusso di globuli rossi in un’immagine fatta di teschi e ossa umane (evocando lo spettro di Pol Pot). Le immagini vanno e vengono fugaci e il visitatore per seguirle è obbligato a muoversi insieme a loro, aggirando la macchina, spostandosi di qua e di là, come se stesse danzando con loro per cogliere la loro mutevole identità. È solo guardandole da un numero infinito di angoli sottili che si riescono a percepire e capire. Creando questa interazione tra chi guarda e l’oggetto, l’artista ha rappresentato in modo ingegnoso la verità sull’arte e, forse, anche sull’evidenza scientifica: entrambe possono essere presentate, manipolate, ricevute e interpretate in un numero infinito di modi.Truth and beauty6 novembre 2002 – 21 marzo 2003Aperta dal lunedì al venerdì (9.00 – 18.00)Sito web: http://www.wellcome.ac.uk/en/truthandbeauty/TwoTen GalleryGround floor210 Euston RoadLondon NW1 2BE, UK

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