È una capacità relativamente recente quella che consente al 90 per cento degli abitanti scandinavi e nordeuropei di digerire il latte. La mutazione genetica che rende possibile la digestione, infatti, era assente nelle antiche popolazioni europee del Neolitico. Lo dimostra un gruppo di antropologi e genetisti della University College London, in uno studio pubblicato sui Proceedings of the National Academy of Sciences (Pnas).
La capacità di digerire il latte è dovuta ad un enzima – la lattasi – che scinde il lattosio in zuccheri più facilmente digeribili. La produzione di quest’enzima, importante per i bambini fino allo svezzamento, si riduce con la crescita e da adulti si può sviluppare intolleranza al lattosio, con crampi e diarrea. Nell’Europa settentrionale è diffusa una variante del gene per la lattasi, che resta attiva per tutta la vita. Mutazioni differenti consentono la tolleranza al latte anche ad alcune etnie africane. La mutazione appare, invece, rara nel resto della popolazione mondiale. La teoria più diffusa è che questa tolleranza abbia avuto origine in Europa circa settemila anni fa, in coincidenza con la comparsa dei primi allevamenti di bestiame.
Questo studio ha fornito una prova diretta a supporto di questa teoria. I ricercatori hanno estratto ed analizzato il Dna da 55 reperti ossei provenienti da cinque differenti siti archeologici europei. Le ossa appartenevano a nove scheletri datati tra il 5840 e il 5000 a.C. Nessuno possedeva nella sequenza genica che controlla l’espressione della lattasi la mutazione che determina la tolleranza negli europei moderni. Secondo i ricercatori, è la conferma della teoria che la mutazione sarebbe insorta e divenuta prevalente a causa della selezione naturale. Determinò, infatti, un vantaggio evolutivo in termini di sopravvivenza: con l’addomesticamento di ovini e bovini, gli individui tolleranti potevano disporre di un alimento facilmente reperibile per nutrirsi e dissetarsi (per di più utile per assimilare meglio il calcio). (an.c.)
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