Tre buchi neri per tre galassie

Un team internazionale di astronomi, guidati da Doug Richstone dell’Università del Michigan, Stati Uniti, ha annunciato la scoperta di tre oggetti supermassivi, probabilmente buchi neri, al centro di tre galassie vicine. Il risultato della loro ricerca è stato presentato al 189mo Meeting dell’American Astronomical Society a Toronto, Canada, lo scorso gennaio. Due dei tre buchi neri scoperti si trovano nel nucleo delle galassie NGC 3379 (anche conosciuta come M105) e NGC 3377 e hanno rispettivamente una massa di 50 milioni e 100 milioni di masse solari. Queste due galassie distano dalla Via Lattea circa 32 milioni di anni luce, nella direzione dell’Ammasso della Vergine. Lontana 50 milioni di anni luce, NGC 4468B contiene invece un buco nero di circa 500 milioni di masse solari. NGC 4468B è una galassia satellite di M87, una delle più brillanti dell’ Ammasso della Vergine. M87 è famosa per il suo getto radio e ottico, indice di attività nucleare. Da tempo è noto che contiene un buco nero di duemila milioni di masse solari. Questi risultati emergono da una campagna di ricerca di oggetti supermassivi in galassie vicine. Già in atto da tempo, questa campagna ha avuto un grosso impulso dai dati dell’Hubble Space Telescope (Hst) e del Canada-France Hawaii Telescope (Cfht) a Mauna Kea, Hawaii. L’alta risoluzione dell’Hst (0.1 arcsec), e la qualità degli spettri del Cfht hanno permesso di studiare la cinematica delle stelle del nucleo delle tre galassie. La presenza di un eventuale oggetto massivo, infatti, crea un potente campo gravitazionale che ne modifica il moto, accelerandole. Un brusco aumento della velocità delle stelle di core è quindi una delle evidenze dinamiche dell’esistenza dei buchi neri. Annunciando la scoperta, il team guidato da Richstone suggerisce che la maggior parte delle galassie potrebbe ospitare buchi neri supermassivi, un tempo attivi ed ora quiescenti. “Siamo davanti a fossili di quasar” – afferma Richstone – “E’ quindi probabile che quasi tutte le galassie abbiano attraversato la fase di quasar, per poi diventare inattive”. Molti gruppi di ricerca hanno trovato oggetti massivi al centro di galassie delle dimensioni della Via Lattea o più grandi. Questi nuovi risultati indicano che anche le galassie più piccole possono ospitare un buco nero e che esiste una proporzionalità tra massa del buco nero e massa della galassia ospite. Quest’ultima conclusione è solo una ipotesi, essendo vulnerabile a vari effetti di selezione, tuttavia suggerisce che la formazione di un buco nero è strettamente collegata a quella della galassia ospite. Comprendere l’origine dei buchi neri significa perciò fare luce sull’origine e sulla formazione delle galassie. E’ possible che le galassie si siano formate per fusioni successive di piccoli ammassi stellari, ognuno dei quali contenente un buco nero. Il buco nero supermassivo si formerebbe dalla coalescenza dei singoli buchi neri. Un altro modello prevede che le condizioni fisiche all’ interno di una protoglassia, ricca di gas, causino la formazione di un modesto buco nero nel nucleo. Parte del gas disperso dalle stelle nel corso della normale evoluzione andrebbe ad accrescere il buco nero, che raggiungerebbe così una massa dell’ordine di quelle misurate oggi. Come si vede, la ricerca è ancora agli inizi. Non è ancora conosciuta la natura dei buchi neri, né è chiaro perché siano così diffusi. E’ necessario trovare altri oggetti supermassivi, per poter aumentare la statistica ed arrivare a conclusioni il più corrette possibili. Il team di Richstone pone grandi speranze nel nuovo strumento che verrà installato sull’Hst, lo Space Telescope Imaging Spectrograph (Stis). Questo strumento aumenterà enormemente l’efficienza del progetto, lasciando intravedere sorprese sempre maggiori.

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