Troppi malati nelle carceri

Un detenuto su tre è affetto da epatite C. Il dato, emerso dall’indagine GfK-Eurisko condotta in 25 istituti di pena italiani, sarà al centro del prossimo congresso della Società Italiana di Medicina Penitenziaria (SimSPe), che si terrà a Roma dal 4 al 6 ottobre prossimi. La malattia virale è infatti la principale emergenza sanitaria all’interno delle carceri coinvolgendo il 38 per cento della popolazione detenuta con un’incidenza più alta tra i 35 e i 40 anni (mentre fuori dal carcere l’età di maggiore prevalenza è tra i 55-60 anni).

La situazione descritta nel rapporto Eurisko, dicono i medici della SimSPe,  richiede un immediato cambiamento di rotta dell’intero sistema penale che preveda il ricorso a sistemi alternativi alla detenzione. “Nessuno ha la bacchetta magica, ma credo che il carcere così come è oggi non sia la risposta idonea alla detenzione sociale” dichiara Giulio Starnini direttore del Reparto di Malattie Infettive dell’Ospedale Belcolle di Viterbo.
Nonostante lo sfollamento post-indulto (da più 60 mila agli attuali 46 mila), la vita per chi sconta una pena, non è cambiata un granché. Adesso, e ancora per poco (in un anno si sono registrati  già 8 mila nuovi ingressi) forse si sta un po’ più larghi, ma la salute continua a essere un diritto calpestato.

Eppure, il carcere, che è il luogo privilegiato per la diffusione dell’epatite C (a causa delle scarse condizioni igieniche, della mancanza di precauzioni nello scambio di oggetti a rischio, come rasoi o spazzolini da denti, e per l’abitudine di farsi fare i tatuaggi dai compagni di cella) potrebbe essere un luogo per curarsi. La metà dei medici intervistati nel rapporto Gfk-Eurisko sostiene infatti che i risultati della terapia ottenuti dietro le sbarre sono migliori di quelli raggiunti fuori. Innanzitutto per la possibilità di seguire meglio il paziente, ma anche per la giovane età dei malati che rende più facile un completo recupero. La terapia più utilizzata consiste nella combinazione tra interfereone peghilato e ribavirina e garantisce percentuali di guarigione dal 50 all’80 per cento.

Solamente la metà dei malati viene però messa in cura. Alcuni  rifiutano la terapia per poter ottenere  la scarcerazione per gravi motivi di salute, ma molti altri restano vittime dell’inefficienza della sanità carceraria: personale insufficiente e precario, infrastrutture inadeguate.  Per porre rimedio a queste pecche è indispensabile prima di tutto una seria riforma che determini il definitivo passaggio della medicina penitenziaria al Sistema Sanitario Nazionale, perché un detenuto possa avere gli stessi diritti e possibilità di cura di un comune cittadino. E poi riconvertire i centri clinici interni agli istituti di pena in day hospital e day surgery efficienti, evitando così di affollare gli ambulatori esterni. È quanto chiederanno, in prima istanza, i membri della SimSPe al prossimo congresso, in cui si affronteranno anche gli altri problemi sanitari del carcere: aids, suicidi e tossicodipendenza.
(g.d.o)

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