Tumori nel mirino

Un aggiustamento di rotta nella cura dei tumori che si sviluppano nel fegato, migrati da altri organi. A promettere cure più efficaci e con meno effetti indesiderati contro questi e – come vedremo – anche contro altri tumori sono due studiosi dell’Università di Torino, Claudio Zanon e Maurizio Grosso, chirurgo il primo e radiologo il secondo.

Il fegato, come anche il polmone o le ghiandole linfatiche, non vive soltanto le pene tumorali proprie. Gli organi che raccolgono il sangue o i liquidi di ritorno da altri organi, infatti, possono essere soggetti anche ai tumori che si sviluppano in altre regioni del corpo. E questo perché il fegato ha il compito di filtrare il sangue che torna dall’intestino carico di sostanze da digerire, ma anche, in qualche caso, di cellule tumorali che si sono staccate da un tumore in quella regione: per esempio da un cancro della parte terminale dell’intestino, il retto, una delle forme tumorali più diffuse nei paesi occidentali. In questi casi, il risultato finale delle terapie è influenzato dal successo dell’intervento chirurgico sul tumore intestinale, come anche della cura delle metastasi epatiche, le colonie tumorali nel fegato che si sviluppano nel 70 per cento dei malati.

I progressi della chirurgia epatica e della diagnostica per immagini hanno in parte mutato il futuro per le persone sottoposte a resezione di questo tipo di metastasi. Oggi le sopravvivenze a cinque anni variano dal 34 al 48 per cento, con bassissima mortalità operatoria. Il problema è che l’intervento chirurgico è possibile solo in pochi casi. In oltre il 70 per cento dei malati le metastasi sono diffuse e non possono essere aggredite con il bisturi. Anche con la chemioterapia non si è potuto fare molto. Almeno sinora, con la chemioterapia non mirata. Ecco perché da anni gli oncologi erano a caccia di tecniche alternative che portassero i farmaci proprio fin dentro il tumore, così da aumentarne l’efficacia e ridurne la tossicità per il resto dell’organismo.

Per questo ha suscitato grande interesse tra gli addetti ai lavori la cosiddetta “chemioterapia locoregionale”, una tecnica relativamente nuova sviluppata in particolare per curare le metastasi epatiche da carcinoma del retto. Il sistema consiste nel somministrare i farmaci in modo tale da farli arrivare direttamente all’interno del fegato. Una strada nuova e interessante, che però non è del tutto priva di problemi. Il primo, e più grande, è che la procedura rimane abbastanza complessa, perché per posizionare un catetere nell’arteria epatica serve un intervento chirurgico preliminare, in anestesia generale e con rischi di vario genere.

E’ a questo punto che interviene la novità dei due studiosi italiani, ovvero una procedura più semplice e meno rischiosa per ottenere lo stesso risultato. Grosso e Zanon propongono di usare dei cateteri infilati nel sistema circolatorio con un taglio all’altezza dell’ascella, in anestesia locale. Si tratta di cateteri speciali, rivestiti di una sostanza anticoagulante, che sono inseriti attraverso l’arteria ascellare sinistra. Dopo aver introdotto un’apposita guida nell’arteria, la procedura prevede, prima, d’infilare un catetere che arriva all’arteria epatica e, dopo, la creazione di una piccola tasca sottopelle sul torace per ospitare la pompa del farmaco.

“Sinora – sostengono i due – sono stati impiantati con questa tecnica 70 cateteri arteriosi intra-epatici per il trattamento di metastasi epatiche da carcinoma del retto, con un tasso di risposte del 63 per cento e una tossicità legata alla chemioterapia epatica intorno al 30”. Purtroppo – notano con prudenza – non sono ancora disponibili dati definitivi sulla sopravvivenza. La tecnica di impianto percutaneo del catetere in arteria epatica apre la strada all’approccio locoregionale di altri tumori raggiungibili con difficoltà. Sinora almeno, sembra priva di complicanze, rapida, ripetibile, attuabile su ogni tipo di paziente e di facile esecuzione. La nuova tecnica, inoltre, costa meno della procedura chirurgica. E tutto ciò ha permesso di ampliare le indicazioni alla chemioterapia locoregionale dei tumori. Sinora sono stati impiantati 33 cateteri epatici per il trattamento delle metastasi da tumori non rettali, per esempio provenienti da stomaco, esofago, utero, ovaio e mammella, e 24 cateteri extra-epatici. In questi trattamenti loco-regionali, la percentuale di risposte si è aggirata intorno al 50 per cento, con ridotta tossicità. Con la medesima tecnica, quindi, è possibile raggiungere qualunque distretto arterioso per il trattamento chemioterapico locoregionale dei tumori.

Lo studioso Paul Erlich sognava dei farmaci che, come proiettili magici, potessero puntare e distruggere solo e soltanto il bersaglio. Non siamo ancora a quel punto, ma con questa ultima versione della chemioterapia locoregionale abbiamo certamente fatto un altro passo avanti.

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here