L’Universo è assai più “affollato” di quanto si potesse supporre con le osservazioni disponibili fino a oggi. E’ quanto emerge dalle ultime ricerche dello Hubble Space Telescope (Hst), che ha identificato parte della materia oscura di cui è composto l’Universo: stelle disperse nello spazio fra le galassie, finora invisibili per i telescopi da terra. Questa scoperta aggiunge un nuovo tassello al puzzle della massa mancante nell’Universo, un rompicapo che assilla cosmologi e fisici da mezzo secolo.
Negli anni Trenta lo studio degli ammassi di galassie ha portato alla scoperta che l’Universo è composto per la maggior parte (circa il 90%) da materia oscura, invisibile, che fa da “colla” alle strutture luminose (ammassi stellari, galassie e ammassi di galassie) impedendone il disperdersi nello spazio.
Stabilire con esattezza cosa sia la materia oscura (stelle o galassie poco luminose, buchi neri, particelle elementari) è uno dei compiti più importanti della cosmologia contemporanea, perché essa determina la massa totale, ma si potrebbe anche dire il destino, dell’Universo. E’ infatti la quantità totale di materia racchiusa nell’Universo che stabilisce se le galassie continueranno ad allontanarsi le une dalle altre, oppure se a un certo punto, in un futuro remoto, si fermeranno e ricominceranno ad avvicinarsi fino a fondersi fra loro, per dare origine a un altro Big Bang.
Per questo è iniziata la ricerca della “massa mancante” dell’Universo, che ha portato oggi alla scoperta di queste stelle solitarie distribuite fra le 2500 galassie dell’Ammasso della Vergine, distante circa 60 milioni di anni luce da noi. E’ la prima volta che vengono osservate stelle non appartenenti ad alcuna galassia, o ad alcun ammasso stellare. Questo risultato è stato ottenuto esaminando le immagini dello Hst di una zona di cielo, ritenuta vuota, nelle vicinanze della galassia ellittica gigante M87, al centro dell’Ammasso. La distanza a cui sono state trovate le stelle ne esclude l’appartenza alla galassia.
Harry Ferguson, dello Space Telescope Science Instutite (Usa), Nial Tanvir dell’Università di Cambridge (Inghilterra) e Ted von Hippel (Università del Wisconsin, Usa) annunciando la loro scoperta suggeriscono che l’intera popolazione di queste stelle solitarie potrebbe essere composta da mille miliardi di stelle come il Sole, la cui massa totale sarebbe circa il 10% di quella dell’intero Ammasso.
L’esistenza di stelle intergalattiche era stata prevista come risultato di “incontri ravvicinati” fra le galassie all’inizio della formazione dell’ammasso. Questi incontri avrebbero potuto strappare le stelle più esterne dalle galassie madri, liberandole nell’ammasso, lontane da qualsiasi attrazione gravitazionale originata dalle galassie stesse.
Un esame più approfondito, utilizzando la nuova strumentazione dello Hst, permetterà di stabilire se esse provengano da galassie ancora esistenti oppure se si sono in qualche modo formate nel freddo dello spazio intergalattico.
Sembra strano che l’Astronomia, la scienza più antica, non riesca a dirci di cosa sia fatto l’Universo. Come la ricerca continua, e le osservazioni si accumulano, possiamo solo sperare che gli astronomi un giorno riescano a “portare alla luce” la natura della materia oscura. Dopotutto, il destino dell’Universo dipende da lei.