Un algoritmo per le epidemie

Afta epizootica, Hiv, Ebola: sono alcuni tra i più famosi virus che terrorizzano le popolazioni di tutto il mondo. E che la scienza cerca di combattere. Una risposta arriva da due fisici argentini dell’Instituto Balseiro di Bariloche, Guillermo Abramson e Marcelo Kuperman, in un articolo apparso su Physical Review Letters. Dai loro studi emerge un quadro non troppo tranquillizzante. Le società moderne infatti tendono a essere sempre meno raggruppate e il raggio di interazione delle persone tende ad ampliarsi. E meno una società è “raggruppata” – nel senso che gli individui tendono a confinare sempre meno le proprie relazioni nell’ambito di un gruppo fisso -, più è a rischio. I gruppi che si salvano sono quelli che i due argentini hanno chiamato “small world’, ovvero piccolo mondo. Galileo ha intervistato Guillermo Abramson per approfondire il senso di questo studio.

Cosa è il “piccolo mondo”?

“Piccolo si riferisce all’espressione “fenomeno del mondo piccolo” (“small-world phenomenon”), inventata dallo psicologo Milgram negli anni Sessanta. Si tratta di un’espressione matematica che illustra come la rete di conoscenze di ogni individuo in una società sia limitata: gli amici di una persona sono anche “amici degli amici”, per capirsi. E’ chiaro che nella vita reale le relazioni di una persona cambiano nel tempo; nel nostro modello di “small world” assumiamo però che le distanze tra le persone aumentino sempre più lentamente del numero di conoscenze”.

Ma cosa si intende precisamente per “distanza” tra due persone?

“In fisica parliamo spesso di “distanza tipica”. L’idea è di connettere persone che non si conosco direttamente mediante passaggi tra persone che si conoscono direttamente. Facciamo un esempio, che è poi lo stesso che usò Milgram nei suoi studi. Supponiamo di voler far pervenire una lettera a una persona che non conosciamo direttamente passandola a un amico più vicino di noi al destinatario. Il nostro amico, a sua volta, passerà la lettera a un altro amico ancora più vicino al ricevente. Milgram concluse che il numero tipico di passaggi, prima che la lettera giunga al destinatario finale, è sorprendentemente piccolo: sei. E ne concluse che sei è la lunghezza tipica di una catena di conoscenze. Da ciò trasse ispirazione perfino Hollywood col film “Six degrees of separation” (Sei gradi di separazione). Nel nostro modello abbiamo dovuto tener conto anche del fatto che spesso le conoscenze di una persona tendono a essere anche le conoscenze di un’altra. In matematica descriviamo questo fenomeno col termine di “clusterization”, ovvero “raggruppamento”. Per esempio una società che si basa sul nucleo familiare è fortemente raggruppata. Quelle moderne tendono invece a essere meno raggruppate: si viaggia frequentemente, si incontrano sempre più persone, ecc.”.

Quali conclusioni avete ottenuto con questo modello?

“Abbiamo considerato diversi gradi di raggruppamento e di distanze per descrivere società differenti. A un estremo abbiamo quelle fortemente raggruppate, come per esempio le rurali; dall’altro società poco raggruppate con distanze molto corte, come quelle moderne urbane. Le prime hanno un basso livello di infezione endemica, mentre nelle seconde le epidemie tendono a ripetersi ciclicamente, ovvero il numero degli individui contagiati aumenta e diminuisce ciclicamente. Nel mezzo troviamo le società che noi chiamiamo “small world”, con vari livelli di raggruppamento. La suscettibilità al propagarsi di un’epidemia dipende soltanto dalla struttura delle diverse società, ovvero dal loro grado di raggruppamento, e non dal numero di connessioni tra gli individui. Questi risultati sono stati consolidati da fenomeni reali: abbiamo infatti paragonato le nostre cifre coi dati riguardanti la propagazione del morbillo in società tra loro molto diverse, quali il Regno Unito, l’Islanda e l’Europa continentale”.

Dalla ricerca da voi condotta si possono dedurre delle indicazioni per mantenere le nostre società più sane?

“Una cosa risulta particolarmente evidente: vaccinare i bambini in età scolare contro l’influenza è molto più efficiente, nel contrastare l’epidemia, che vaccinare gli anziani. I bambini rappresentano un po’ delle “scorciatoie” nella società, perché congiungono tra loro raggruppamenti che altrimenti resterebbero sconnessi. Alla luce di questo dato il Giappone sta già attuando con successo questo tipo di vaccinazioni nei bambini. In questa direzione si muove anche la nostra ricerca futura: inserire le vaccinazioni nel nostro modello”.

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