Si chiama Australopithecus garhi e potrebbe essere uno dei progenitori del genere Homo, insomma un nostro lontano parente. Si tratta infatti di una nuova specie di ominide dalle caratteristiche morfologiche mai osservate prima. “Nessuno aveva previsto l’esistenza di questa specie”, ha dichiarato Tim White uno degli antropologi del team che da tempo concentra i suoi sforzi nella zona desertica dell’Afar, in Etiopia. Proprio qui sono già stati ritrovati i resti dei più antichi ominidi conosciuti. Lo stupore per il ritrovamento è testimoniato anche dal nome che gli antropologi hanno scelto per questa nuova specie: “garhi” infatti in lingua Afar significa proprio “sorpresa”. Nella stessa zona in cui è stato ritrovato il cranio di A. garhi sono stati inoltre rinvenuti dei resti ossei di gambe e braccia di ominide. Ma quale sia il rapporto che lega il primo reperto a questi ultimi è ancora tutto da chiarire.
Il cranio di A. garhi ha una forma prominente simile a quello delle grandi scimmie e una scatola cranica piccola, caratteristiche queste che lo rendono simile ad Australopithecus afarensis (il cui esemplare più famoso è Lucy), mentre i suoi grossi denti indicano una somiglianza spiccata con forme di australopiteco più evolute. Le porzioni di ossa lunghe degli arti hanno proporzioni che ricordano quelle di Homo, gambe lunghe e braccia corte. Insomma queste ultime scoperte sono un vero e proprio enigma che gli antropologi di tutto il mondo si impegnano a risolvere. A questo proposito Galileo ha intervistato Giorgio Manzi, paleoantropologo, docente di Paleontologia umana all’Università di Roma “La Sapienza”.
Dottor Manzi, quello etiopico è davvero un ritrovamento straordinario?
“Sì, e per diversi motivi. In primo luogo, A. garhi più che una sorpresa appare come un vero rompicapo. I resti cranici, infatti, presentano caratteri misti, un ventaglio morfologico non riconducibile a nessuna specie finora conosciuta. Per questo Berhane Asfaw, Tim White e gli altri hanno ritenuto opportuno creare una nuova specie. Interessante è anche la sua datazione, che lo colloca in un periodo particolarmente interessante per l’evoluzione della nostra specie. A. garhi infatti ha 2,5 milioni di anni ed è quindi vissuto proprio nel periodo di tempo in cui si è generata un’importante diversificazione nell’albero filogenetico degli ominidi: da una parte le linea cosiddetta “robusta”, dall’altra quella più “gracile” da cui si sarebbe sviluppato il genere Homo. La nuova specie non fa parte della prima linea, ma non può nemmeno essere riconducibile alla seconda. E’ una via di mezzo enigmatica”.
Perché l’inserimento di A. garhi nell’albero genealogico dell’uomo è così complicato?
“White e i suoi colleghi avrebbero potuto trovare, in Africa orientale, tracce di Australopithecus africanus, un ominide gracile che ci è noto in Sud Africa ed è considerato da molti il miglior candidato a nostro antenato diretto. Invece hanno trovato A. garhi, con tutta la sua dote di morfologie che appaiono difficili da interpretare. Le sovrastrutture ossee fanno pensare che possa essere collocato tra “Lucy” (A. afarensis) e “Zinj” (la forma robusta nota come A. boisei), mentre la dentatura è simile, almeno in parte, a quella di Australopithecus africanus. In breve, questa bella “sorpresa”, questo nuovo intrigante documento dell’evoluzione umana pone molte più domande di quelle a cui potrebbe dare risposta. Per un po’ di tempo sarà bene lasciarlo lì dove si trova, nelle savane dell’Africa orientale di 2 milioni e mezzo di anni fa, in compagnia delle primi ominidi di tipo robusto (che conosciamo come A. aethiopicus) e dei primi rappresentanti del genere Homo, che ancora non vogliono mostrarci il loro volto, ma che già da tempo ci mandano segnali della loro presenza sotto forma di manufatti litici”.
Cosa ci può dire degli altri reperti trovati?
“Nello stesso orizzonte stratigrafico del cranio, e dunque riferibili alla stessa antichità, sono stati ritrovati anche resti appendicolari di uno scheletro, rappresentati dalle ossa lunghe del braccio, dell’avambraccio e della gamba. Non sappiamo se appartenessero allo stesso ominide rappresentato dal cranio, ma le loro caratteristiche fanno pensare che si tratti di una specie differente (anche se White e gli altri arrivano a ipotizzare il contrario). I rapporti fra braccio (omero) e coscia (femore), infatti, sono molto simili a quelli che incontriamo con il genere Homo e che possiamo osservare ancora oggi su ciascuno di noi. Difficile che possa trattarsi dell’ominide chiamato A. garhi”.
Le ricerche sul sito hanno fatto emergere anche altri resti interessanti?
“Sono stati anche rinvenuti resti scarnificati di animali, in particolare ossa fratturate artificialmente e con segni di taglio, dalle quali probabilmente veniva anche estratto il midollo. Generalmente si ritiene che l’introduzione di proteine animali nella dieta abbia contribuito in maniera determinante allo sviluppo del cervello degli ominidi e, in particolare, di Homo. Quest’altro ritrovamento contemporaneo ad A. garhi, dunque, non fa che confermare ciò che già sapevamo: in quel periodo e in quella zona sono vissuti ominidi in grado di fabbricare strumenti per procacciarsi alimenti di origine animale; anche se, probabilmente, le prede venivano cacciate da altri. Purtroppo, al momento non possiamo dire se il “macellaio” fosse A. garhi o un altro ipotetico ominide con braccia corte e gambe lunghe”.
Ma allora queste scoperte rivoluzionano la storia dell’evoluzione?
“Non è una rivoluzione, ma i nuovi dati mi sembrano quanto mai interessanti. Le teorie su quale sia stato il percorso che ha portato alla comparsa del genere Homo sono tante quante sono gli antropologi che se ne occupano e, soprattutto, con l’aumentare dei ritrovamenti le informazioni di cui disponiamo si fanno più complesse e le idee più confuse, almeno per il momento. Oggi possiamo dire che tra i 3 e i 2 milioni di anni fa alcune differenti specie di ominidi popolavano le medesime regioni dell’Africa orientale. E una di esse è l’antenato di Homo. E’ ormai chiaro che, più che un albero genealogico, abbiamo di fronte un cespuglio, dal quale molti rami sono nati, ma solo pochi si sono sviluppati e solo uno è sopravvissuto fino al presente. La polemica fra gli specialisti si riaccende a ogni nuovo ritrovamento e la mia impressione è che il cespuglio si andrà ancora infoltendo, fino a che qualcuno non troverà il bandolo della matassa e ci spiegherà in modo convincente come da uno scimmione bipede sia nato il “primo uomo”. Mi viene un sospetto: che fosse uno scimmione bipede anche quest’ultimo?”