Ospedale San Martino di Genova. E’ questo l’unico posto al mondo dove si curano leucemie, linfomi e diversi altri tipi di tumore in stato avanzato, con una nuova terapia basata sul trapianto di cellule progenitrici prelevate da un donatore compatibile. Tecnicamente si parla di mini-allotrapianto preceduto da autotrapianto. Un metodo rivoluzionario che ha dato ottimi risultati nei due anni di sperimentazione, ma che non vuole in nessun modo contrapporsi alle terapie tradizionali. Parola di Angelo Michele Carella, direttore del dipartimento di Ematologia, che insieme ad altri tre fra i maggiori esperti mondiali ha messo a punto questa tecnica ma che, unico al mondo, prepara i suoi pazienti all’intervento con una terapia di condizionamento particolare.
Per spiegare con parole semplici come funziona il suo metodo Carella usa un’immagine suggestiva. “E’ come la storia del cavallo di Troia. Le cellule del donatore sono gli achei, mentre quelle del paziente che riceve il trapianto sono i troiani. Prima dell’operazione si effettua una terapia di condizionamento che addormenta i secondi in modo che i primi possano sfondare le difese e attecchire nell’organismo malato”. Lo studio che ha portato alla nascita di questa nuova tecnica, finanziato dall’Associazione italiana per la ricerca sul cancro, “è nato dall’idea di fare spazio alle cellule sane nell’organismo malato in modo che queste potessero attecchire e iniziare la produzione di nuovi globuli, tanto da trasformare il gruppo sanguigno del paziente”. Il primo passo della terapia – quello che la rende unica al mondo – è l’autotrapianto, cioè il trapianto di cellule sane provenienti dal paziente stesso, che diminuisce sensibilmente la gravità della neoplasia. Dopo 4/6 settimane si esegue il mini-allotrapianto: questa volta sono le cellule sane di un donatore compatibile ad essere innestate nell’organismo malato. “Contemporaneamente si somministrano dei farmaci che abbassano le difese immunitarie del ricevente in modo che le cellule sane trovino un ambiente a loro favorevole”, spiega Carella.
I protagonisti della guarigione sono i linfociti del donatore, una classe di globuli bianchi presenti nel sangue e nella linfa: “lo scopo è quello di far svolgere a queste cellule le loro funzioni anche nell’organismo ricevente”, continua Carella. Per questo gli immusoppressori, i farmaci capaci di abolire la risposta immunitaria dell’organismo, vengono somministrati solo al ricevente affinché le guardie naturali a difesa del corpo lascino passare le cellule sane del donatore. Con questa tecnica Carella ha curato già 24 pazienti in due anni, pazienti già sottoposti alle terapie convenzionali senza successo e per questo considerati disperati. Leucemie mieloidi croniche, linfomi, carcinomi della mammella, mielodisplasie recidive, queste le patologie sconfitte dal medico genovese che solo in un caso non ne è uscito vincente. Non solo ottimi risultati ma anche un decorso post operatorio migliore per i pazienti: “non c’è bisogno di camera sterile, né di trasfusioni”, afferma soddisfatto Carella.
“Abbiamo comunque l’obbligo di mantenere basse le aspettative”, dichiara Carella, “i risultati sono confortanti ma la terapia è stata provata ancora su pochi pazienti (250 casi in tutto il mondo contando anche i pazienti non sottoposti ad autotrapianto), e abbiamo bisogno di altri dati prima di poter cantare vittoria”. Già pubblicati su alcune prestigiose riviste specializzate, gli studi di Carella sono guardati con interesse dal mondo scientifico internazionale. La tecnica del mini-allotrapianto, infatti, viene sperimentata anche in America e in Israele da altri tre ematologi, Richard Champlin, Simon Slavin e Reiner Storb. Ma l’esperienza italiana rimane comunque unica perché solo a Genova la terapia di condizionamento prima dell’intervento si effettua anche grazie all’autotrapianto. Cosa dobbiamo aspettarci per il futuro ? “Innanzitutto che la terapia venga sperimentata in più centri possibili. Per fare questo verranno firmati nel gennaio del 2000 due protocolli internazionali (uno per il metodo con autotrapianto e l’altro per la versione senza) grazie ai quali anche il resto della comunità medica internazionale saprà con esattezza quali siano le procedure da seguire per attuare questo nuovo metodo”, conclude Carella. E per accelerare il coinvolgimento di altri ricercatori e medici i quattro ematologi “inventori” del metodo pubblicheranno nell’autunno prossimo i loro risultati, presentati al 28° Congresso internazionale di Ematologia nel luglio scorso, sul Journal Medical of Oncology.