Un continente in cammino

Segnali di sviluppo. Deboli, ma costanti. Arrivano dall’Africa, da quei 30 paesi messi sotto la lente dell’African Economic Outlook del Centro di Sviluppo dell’Ocse, giunto alla sua quinta edizione e presentato il 6 luglio a Roma. “Nel nostro rapporto abbiamo studiato le prospettive di crescita del continente a breve termine, cioè per il 2006 e 2007”, spiega Lucia Wegner, senior economist dell’organizzazione internazionale, “focalizzando come ogni anno un tema specifico: in questo caso, quello delle infrastrutture e dei trasporti, elementi essenziali di ogni crescita socio-economica”. Il risultato dell’analisi è un cauto ottimismo: nel 2005 l’Africa mostra una crescita del 5 per cento, con un aumento del reddito medio pro capite di circa il 3 per cento. E se le condizioni climatiche e la congiuntura internazionale dovessero mantenersi stabili, è probabile che questa tendenza prosegua anche negli anni a venire.Naturalmente il dato complessivo nasconde le differenze tra le diverse aree: alcuni paesi crescono più speditamente, altri più lentamente, altri ancora arretrano, persino: oltre 300 milioni di persone (negli anni Ottanta erano la metà) vivono con meno di un dollaro al giorno. Ma il dato resta: contrariamente agli stereotipi che vedono l’Africa immutabilmente ancorata alla disperazione, il continente è in cammino. Merito, in primo luogo, dei prezzi del petrolio: i paesi esportatori (come Congo, Sudan, Angola – che in dieci anni ha raddoppiato la produzione) sono infatti quelli che al momento hanno una marcia in più e guidano la ripresa. “Ma attenzione: è proprio qui che il dato relativo all’aumento del reddito procapite trae in inganno”, continua Wegner, “perché in questi paesi ad arricchirsi è spesso una sparuta minoranza, mentre il resto della popolazione resta nella miseria”.Più equilibrato è invece lo sviluppo dei paesi importatori di petrolio: Madagascar, Senegal, Kenia, Zambia, Mozambico e naturalmente Sudafrica. “Qui la crescita è dovuta soprattutto all’esportazione di metalli (oro, alluminio) e al miglioramento delle politiche agricole: è cresciuta l’esportazione di prodotti come il caucciù, mentre i paesi che dipendono dal cotone hanno reagito al calo dei prezzi aumentando la produzione”, continua la ricercatrice. Di pari passo, sono migliorate le politiche di gestione economica, l’inflazione è quasi ovunque sotto controllo e per quanto riguarda la finanza pubblica molti paesi hanno fatto uno sforzo per migliorare la riduzione del deficit.L’ultimo fattore ad incidere positivamente sullo sviluppo del continente è la stabilità politica, che da dieci anni a questa parte è in miglioramento in diverse regioni. “Come tendenza generale, l’Africa ha visto ridurre le violenze da parte della popolazione e parallelamente anche la repressione da parte delle autorità. Ovviamente restano diverse e importanti sacche di instabilità, ma i passi avanti sono innegabili”, sottolinea Wegner. Il processo di sviluppo ha diretto riscontro nella vita delle popolazioni: in diversi paesi (tra cui Ghana e Mozambico) la mortalità infantile è in diminuzione, è aumentata la sicurezza in campo alimentare, e almeno uno dei Millenium Goals (gli obiettivi di sviluppo stabiliti dalle Nazioni Unite) è stato raggiunto: le pari opportunità nell’istruzione elementare. L’Africa resta comunque un continente a due velocità, divisa sulle sfide da affrontare in futuro. “La crisi petrolifera con il relativo aumento dei prezzi del greggio è un’opportunità storica che i paesi produttori devono saper cogliere”, spiega Wegner. Per esempio capitalizzando i guadagni, come hanno fatto Nigeria e Algeria, che hanno creato un fondo di stabilizzazione con l’obiettivo di allocare le entrate eccedenti su progetti di lotta alla povertà. Il paese del Maghreb, per esempio, ha stanziato 10 miliardi di dollari per il miglioramento delle infrastrutture. Non a caso: perché la mobilità di beni e di persone (dalle derrate alimentari ai maestri di scuola) è una componente fondamentale della crescita, soprattutto per le zone rurali. “Pensiamo al caso del Mali, un paese con zone altamente vulnerabili a causa della siccità: grazie all’arrivo di una strada oggi quelle aree sono più sicure, meno esposte ai capricci del clima”, spiega Federico Bonaglia, l’economista dell’Ocse che ha curato la parte relativa ai trasporti. D’altra parte, basta guardare una cartina stradale dell’Africa per rendersi conto di quanto il sistema stradale del continente risenta fortemente dell’impostazione coloniale: tutte le principali vie di comunicazione sono perpendicolari alle coste, a dimostrare la necessità di far giungere ai porti le materie prime estratte nell’interno. E non a caso l’Africa è il continente nel quale i costi di trasporto merci sono i più elevati, una zavorra allo sviluppo economico. Come se non bastasse, negli ultimi anni gli aiuti internazionali, già ridotti sensibilmente rispetto agli anni Ottanta, sono stati destinati soprattutto alla cancellazione del debito e alla gestione delle emergenze, dunque interventi di natura temporanea e non rivolti allo sviluppo duraturo di infrastrutture. Così, e il dato è davvero illuminante, accade che in paesi come il Mozambico un terzo delle strade sia costruito da imprese cinesi. “Per i paesi importatori di petrolio la strada è più difficile: è necessario che si impari a diversificare le produzioni, per non dipendere troppo dall’andamento dei mercati internazionali, che si prepari una nuova generazione di classe dirigente, che si sappiano cogliere i vantaggi della congiuntura investendo sulle infrastrutture”, concludono i ricercatori dell’Ocse. Solo così l’Africa potrà proseguire a passo spedito sulla strada dello sviluppo sostenibile.

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