Un ponte fatto in casa

    All’annuale Fiera del Levante, in corso in questi giorni a Bari, l’amministratore delegato della Stretto di Messina Pietro Ciucci ha orgogliosamente confermato la tabella di marcia per la costruzione del ponte: “I primi cantieri apriranno tra il 2005 e il 2006. Il ponte sarà aperto al traffico nel 2012”. Annunci del genere si susseguono ormai da diversi decenni e senza alcun costrutto. Pochi giorni fa, però, è stato compiuto un piccolo passo avanti. Mercoledì 15 settembre si sono chiusi i termini della gara d’appalto bandita dalla Società Stretto di Messina spa per la scelta del general contractor, la mega-impresa (o meglio un consorzio di privati) che gestirà in toto la realizzazione del ponte: progettazione definitiva, affidamenti, eventuali sub appalti, direzione lavori, esecuzione e collaudo. Una grande opera che, grazie alla cosiddetta “legge obiettivo” o legge Lunardi, potrà ricevere un contributo finanziario dello Stato anche superiore al 50 per cento dell’onere ed essere gestita dal general contractor per 50 anni. A chiusura del bando, le cordate in lizza sono risultate cinque. Ma le più quotate sono le tre capitanate da grosse imprese made in Italy: il gruppo guidato dalla Astaldi (schierata fra le altre con la Pizzarotti e Vianini), il consorzio capeggiato dalla Impregilo (insieme a Cmc di Ravenna e Grassetto e la francese Vinci) il quale in un primo momento doveva concorre insieme con l’Astaldi, e infine il consorzio Risalto, stabilmente formato da Rizzani de Eccher, Salini e Todini. “Il bando di gara è viziato all’origine perché lascia spazio a una negoziazione senza limiti di costo e di tempo. E’ significativo che di fronte alle difficoltà realizzative note nessuno venga chiamato a rispondere della eventuale dilazione dei tempi o dell’aggravio dei già elevatissimi costi”, è il commento di Italia Nostra, Legambiente e Wwf Italia che per venerdì 17 settembre hanno organizzato a Villa San Giovanni una manifestazione nella quale si svolgerà un confronto aperto tra amministratori, parlamentari, politici e studiosi. In verità, spiegano alla Stretto di Messina, si è trattato di una “pre-selezione” all’appalto. Valutati i requisiti dei partecipanti, tramite un’apposita commissione formata da cinque membri interni e due esterni, entro 30 giorni la società invierà alle imprese ritenute idonee la documentazione per elaborare la propria offerta. Ma chiunque sarà ad aggiudicarsi l’appalto si scontrerà subito con la progettazione definitiva della struttura, considerato che il progetto preliminare, vecchio di vent’anni, si è dimostrato più volte inidoneo. Ne sono conferma le 35 prescrizioni previste dal Cipe (Comitato interministeriale per la programmazione economica) al momento della sua approvazione e il recente ammonimento dell’europarlamento, che per il momento non esclude il ponte dalle opere prioritarie ma richiede un’ulteriore valutazione ambientale strategica, nonché un’analisi costi-benefici sul piano socioeconomico per potersi pronunciare in merito. Il termine originario per la presentazione delle domande era stato fissato per il 13 luglio (Gazzetta Ufficiale 15 aprile). Ma su proposta dell’amministratore delegato della società Stretto di Messina spa, Pietro Ciucci, pochi giorni prima della scadenza, il 6 luglio, il consiglio di amministrazione ha deciso di prorogare il termine al 15 settembre al “fine di favorire la massima partecipazione alla gara, alla luce di numerose richieste provenienti da imprese nazionali ed estere di primaria rilevanza”. Ma chi sono queste “imprese di primaria rilevanza”che ambiscono a costruire il ponte? Se i loro nomi non dicono niente ai lettori, sono invece ben noti alla magistratura italiana.La Grassetto, per esempio, è di proprietà di Salvatore Ligresti uno dei protagonisti di Tangentopoli: legato a Bettino Craxi, fu arrestato nel 1992, fra l’altro, con l’accusa di corruzione per i lavori alla metropolitana di Milano, per la svendita di un terreno dell’Ipab, istituto di assistenza dei poveri e degli anziani e per l’affare Sai-Eni. Il procedimento si è concluso con la condanna in primo grado a quattro anni e quattro mesi (G. Barbacetto, P. Gomez, M. Travaglio, Mani Pulite. La vera storia, Editori Riuniti, Roma, 2002, p. 675).Passiamo alla Cmc (Cooperativa Muratori Cementisti) di Ravenna, una di quelle cooperative “rosse” indagate insieme ad altre società per il sistema di spartizione degli appalti per la costruzione della metropolitana di Milano. La Cmc in consorzio con le società Torno, Guffanti e Collini ha ottenuto l’appalto per le forniture del lotto 6 della metropolitana di Milano. Un’operazione che secondo i giudici dell’inchiesta Mani Pulite avrebbe visto l’esborso di cospicue tangenti a favore degli amministratori meneghini. In Sicilia la Cmc ha ottenuto un appalto di oltre 80 miliardi di lire per l’ampliamento della base militare statunitense di Sigonella. Nel corso di indagini giudiziarie è stato scoperto che la cooperativa di Ravenna era in stretto contatto con più clan mafiosi locali. Anche l’impresa del costruttore Paolo Pizzarotti è nota agli inquirenti di Mani Pulite. Il costruttore avrebbe consegnato a Bettino Craxi una tangente di 500 milioni in tre tranche per i lavori di “Malpensa 2000”. Ma Pizzarotti sarebbe stato un referente anche per la democrazia cristiana: “Personalmente ho provveduto a versare il denaro alla Dc nelle mani del senatore Severino Citaristi per un importo complessivo di circa un miliardo, un miliardo e 300 milioni”, ha dichiarato l’imprenditore ai giudici (ibidem, p. 123). Poi c’è la Vianini Lavori dei fratelli imprenditori-editori Leonardo e Francesco Gaetano Caltagirone, entrambi rinviati a giudizio nell’estate del 2001 per corruzione in atti giudiziari: avrebbero versato una tangente ai giudici romani Orazio Savia ed Antonino Vinci. Anche i nomi delle imprese che guidano le cordate Astaldi ed Impregilo ricorrono più volte nelle inchieste di Mani Pulite: nello specifico l’ex Cogefar-Impresit (oggi Impregilo) spazia dalle tangenti per i lavori della metropolitana e del passante di Milano a quelle per la costruzione del policlinico di Pavia. Si legge nel memoriale consegnato ai magistrati di Mani Pulite dall’allora amministratore delegato del Gruppo Fiat (di cui fa parte l’Impregilo) Cesare Romiti che, grazie ai fondi neri occultati sui conti esteri, miliardi su miliardi sono stati versati a politici, amministratori, dirigenti, militari della guardia di finanza. L’Impregilo ha conseguito la leadership nel mercato italiano delle costruzioni delle grandi infrastrutture ed è penetrata con successo perfino nel delicato mondo delle commesse pubbliche in Sicilia, quello sovraordinato dai “tavolini” intorno ai quali sedevano politici, imprenditori, mafiosi e massoni (ibidem, p. 180).Tutte queste società sono accomunate dalla partecipazione nell’Igi (Istituto grandi infrastrutture), un ente che raccoglie le più grandi imprese di costruzioni italiane e alcuni istituti bancari, presieduto da Giuseppe Zamberletti, presidente anche della Società Stretto di Messina spa. Ma l’Impregilo, la Grassetto e la Pizzarotti hanno anche altro in comune: tutte hanno avuto come consulente la società Rocksoil dell’ingegnere Pietro Lunardi, oggi ministro delle infrastrutture e dei trasporti.

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