Un registro per i pazienti

A due anni dall’entrata in vigore della legge 40 sulla procreazione medicalmente assistita vede la luce “l’unico dettato della normativa che tutela i pazienti”, come lo ha definito Filomena Gallo (presidente dell’Associazione Amica Cicogna), e cioè il Registro nazionale pma. Istituito presso l’Istituto Superiore di Sanità e presentato a Roma lo scorso 9 marzo, il registro servirà a schedare tutti i centri autorizzati, le pratiche mediche eseguite, i cicli, i risultati così ottenuti ed entrerà in funzione a partire da maggio prossimo.

I primi dati disponibili riguardano i centri, 336, dei quali 268 autorizzati dalle Regioni e 68 in attesa di autorizzazione; i bambini nati nel 2004 grazie all’applicazione di tecniche di secondo e terzo livello, ossia di fecondazioni in vitro, 3705, e i bimbi nati, invece, grazie all’applicazione di tecniche di primo livello, cioè di inseminazioni intrauterine, 1711; e il numero degli embrioni congelati e abbandonati, 2.169. “Il censimento non è ancora finito ma il numero non cambierà in maniera sostanziale”, ha spiegato Giulia Scaravelli, responsabile del Registro nazionale. “Finora ha risposto circa l’80 per cento dei centri e la maggioranza ha terminato l’indagine interna”.

E il dato non ha mancato di sollevare commenti. “Ora sappiamo che in 20 anni di attività di tutti i centri italiani, gli embrioni abbandonati non sono 30.000, come sostenuto durante la campagna referendaria”, ha affermato Anna Pia Ferraretti, rappresentante per l’Italia presso il Registro europeo della pma durante la conferenza organizzata dalla Rosa nel Pugno e dall’Associazione Luca Coscioni il giorno dopo la presentazione del Registro, proprio in occasione del compleanno della legge, per commentare i dati resi noti dall’Iss e per fornirne altri. In particolare quelli relativi alle richieste di consulenza e di trattamento ricevute dai maggiori centri di procreazione assistita italiani dal 2003 al 2005: nel 2003 i tre quarti delle consulenze riguardavano tecniche che prevedevano la crioconservazione degli embrioni sovrannumerari, opzione oggi non più perseguibile dalle coppie; nel 2004 la metà delle coppie si sono rivolte ai centri italiani per avere informazioni sui centri esteri, una fetta di persone in forte crescita nel 2005.

Perché gli italiani vanno all’estero? Per la maggior parte per la possibilità di congelare gli embrioni, e così non ripetere la stimolazione ovarica in caso in di insuccesso, un terzo perché esegue la tecnica eterologa, vietata dalla legge 40. Ma non tutti si possono permettere di andare al di là del confine. “I costi di una trasferta oscillano fra i tremila e i diecimila euro”, spiega Gallo. “In più le coppie che tornano hanno problemi per farsi prescrivere e acquistare i medicinali e le prestazioni diagnostiche”. Insomma per chi va all’estero ci sono meno tutele e meno informazioni sulla qualità del centro. Problemi che almeno in Italia il Registro nazionale dovrebbe risolvere, permettendo ai cittadini di consultare su Internet le schede dei singoli centri accreditati con le statistiche relative. Ma proprio su questo punto all’incontro organizzato all’Iss si sono sollevate delle critiche da parte degli addetti ai lavori. I dati presentati evidenziano un successo superiore al 25 per cento negli interventi di fecondazione in vitro, con punte superiori al 28 per cento nel Sud e al 26 per cento nel Centro.

“I dati preliminari presentati oggi sono da considerare con una grandissima cautela’’, ha osservato Carlo Flamigni, uno dei massimi esperti italiani in materia. Già, perché se la legge ha istituito un Registro, attivato seppur tardivamente, poco dice rispetto ai controlli che dovrebbero essere eseguiti per verificare la veridicità delle dichiarazioni dei centri. Ilrischio, infatti, è che i dati siano trasformati in “strumenti di propaganda”’ anche perché, ha osservato ancora Flamigni, “la gente sceglie a quale centro rivolgersi sulla base dell’analisi dei risultati’’.

Il dato che più degli altri non convince Flamigni, e insieme a lui altri operatori del settore, è che ‘’nel Sud si ottengono i risultati migliori, mentre i metodi seguito dovrebbero essere gli stessi ovunque. E poi bisognerebbe dire anche come sono i bambini che nascono, ma questo contrastare con le disposizioni sulla privacy previste nella legge 40’’. Per questo il professore lancia un appello per la costituzione presso l’Iss di un comitato di esperti per poter valutare possibili distorsioninell’applicazione delle regole per la compilazione del registro’’.

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