Stelle di massa enorme che si contraggono fino a diventare punti o, come dicono i fisici, “singolarità”. Questi sono i buchi neri, alla ribalta dell’astrofisica fin dal 1969, quando John Archibald Wheeler coniò la definizione che avrebbe riscosso grande successo.
Ma cosa succede quando una stella “collassa”? Il suo campo gravitazionale acquista un’intensità senza eguali. Niente, né materia né luce, né alcun’altra forma di radiazione può uscirne. Tutto è irrimediabilmente attratto dal buco nero. Almeno tutto quello che si trova all’interno del cosiddetto “orizzonte degli eventi”. La zona di attrazione gravitazionale del buco, infatti, ha una soglia: una superficie sferica che la circonda. Chi si trova sulla linea dell’orizzonte ha ancora qualche speranza di non essere risucchiato (ma solo se si allontana alla velocità della luce!). Per chi lo oltrepassa la fine è segnata.
Non tutte le stelle vanno incontro allo stesso destino. Solo una su mille contiene abbastanza materia da avere qualche probabilità di diventare un buco nero. E tra queste, inoltre, molte possono porre fine alla loro esistenza in modo violento, esplodendo come supernovae ed evitando, così, di trasformarsi in buchi neri. Tuttavia anche se solo una su mille delle stelle dotate di massa sufficiente diventasse un “black hole”, ce ne dovrebbero essere moltissimi in tutto l’Universo.
Ma dove sono? Purtroppo è difficile scoprirli, visto che non emettono luce. In qualche caso, però, è possibile rilevarne indirettamente la presenza. Se un buco nero fa parte di un sistema binario, cioè gira insieme a una stella intorno a uno stesso centro di gravità, può succedere che un po’ di materia stellare venga attratta dal buco e cominci a muoversi formando una spirale. Durante la discesa verso un invisibile punto dello spazio, il materiale stellare, riscaldandosi nella sua corsa, emette raggi X. Cercate una sorgente di raggi X, dunque, là forse si nasconde un buco nero.
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