Una chiave per la morte cellulare

Si chiamano linfociti T e sono le cellule del sistema immunitario che decidono della sopravvivenza o della morte cellulare. Una decisione difficile, soprattutto quando si corre il rischio di proteggere cellule dannose o di distruggere quelle sane. Un’équipe di ricercatori italiani dell’Istituto superiore della sanità (Iss) e delle Università di Palermo e Catania ha chiarito, con uno studio pubblicato su Nature Immunology, in che modo il mancato funzionamento dei linfociti T può portare alla crescita dei tumori.

Esistono due varianti di linfociti T: i T helper 1 (Th1) che favoriscono la produzione di proteine kamikaze, ossia proteine che attivano un processo di morte cellulare. E i T helper 2 (Th2) che invece producono degli scudi cellulari che impediscono la distruzione delle cellule. In entrambi i casi, un anomalo funzionamento può portare all’insorgere di patologie autoimmuni o, addirittura, di tumori. Sia perché vengono distrutte cellule utili, sia perché vengono protette cellule dannose. L’esempio più evidente di queste anomalie è rappresentato dalle disfunzioni della tiroide.

“Abbiamo usato la tiroide come modello sperimentale”, spiega Ruggero De Maria, del laboratorio di Ematologia e Oncologia dell’Iss e coordinatore della ricerca, “perché è un organo facilmente accessibile allo studio e perché fornisce un esauriente quadro clinico sugli effetti delle malattie autoimmuni con esito opposto”. Le alterazioni del funzionamento dei linfociti T possono infatti portare sia all’ipertiroidismo e alla malattia di Graves che all’ipotiroidismo e alla malattia di Hashimoto. Due patologie di segno opposto.

Nel primo caso sono i Th1 a non funzionare bene, poiché inducono un processo di morte cellulare indiscriminato, distruggendo anche le cellule sane. Nel secondo caso, invece, sono i Th2 ad avere la meglio, proteggendo cellule che andrebbero distrutte. Quella dei Th1 e Th2 è una regolazione immunitaria quindi non sempre perfetta, e alcuni tumori lo dimostrano.

“In un quadro clinico normale”, spiega De Maria, “l’equilibrio di questi due meccanismi è alla base del ricambio delle cellule, come avviene nel caso dei tessuti epiteliali”. Ma la vera novità dello studio è che i Th2 potrebbero avere una parte anche nello sviluppo di alcuni tumori. “Abbiamo notato”, dichiara De Maria, “che in alcuni tumori solidi i Th2, posizionandosi in prossimità del tessuto canceroso, ne proteggono le cellule favorendo la produzione di antigeni che danno una risposta anticorpale”.

Il nostro organismo produce ogni giorno delle cellule tumorali, ma la maggior parte di queste viene distrutta dal sistema immunitario. Alcuni tumori però sono in grado di alterare il funzionamento delle citochine – le molecole-segnale della risposta immunitaria – bloccandone l’azione o producendo falsi recettori. “Abbiamo osservato”, aggiunge De Maria, “che in genere più il tumore è maligno più favorisce la produzione dei Th2 e inibisce quella dei Th1”.

Una volta scoperto il meccanismo resterebbe solo da collaudare la cura. Ma il passaggio non è così facile. Le attuali sperimentazioni con l’interferone – una sostanza in grado di rafforzare l’azione dei Th1 – hanno un grosso limite: il processo di morte cellulare non è selettivo, ossia non è mirato alle sole cellule tumorali. “Rispetto ai precedenti studi”, dichiara De Maria, “ci siamo dedicati all’analisi dei bersagli del sistema immunitario, agli effetti finali delle sue alterazioni, e questo ci pone molto più vicini alla soluzione”. “Ma purtroppo per noi”, conclude De Maria, “forse non vedremo mai gli sviluppi clinici di quello su cui stiamo lavorando, perché la nostra disponibilità di strutture e finanziamenti ci permette solo di fare ricerca di base. Laddove uno studio come il nostro necessiterebbe di una conferma e di una sperimentazione clinica”.

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here