Euforia, aumento dell’attenzione e della capacità di concentrazione, benessere e sicurezza. Ecco cosa prova chi “sniffa” cocaina. Al prezzo di danni ai neuroni che permangono per molti mesi, forse addirittura per sempre. Assumendola per via endovenosa, l’effetto è addirittura più acuto e immediato. A produrre questo tipo di sensazioni è la sovrastimolazione dei neuroni dovuta all’azione della droga sui livelli di dopamina, un neurotrasmettitore presente nel tessuto cerebrale. Il nesso esistente tra il meccanismo d’azione della cocaina a livello molecolare e l’effetto sperimentato da chi ne fa uso è stato chiarito per la prima volta negli Stati Uniti, da uno studio condotto presso il Brookhaven National Laboratory di New York e il Dipartimento di Psichiatria della New York State University. I risultati della ricerca sono pubblicati sull’ultimo numero della rivista britannica Nature.
Le comunicazioni tra i neuroni avvengono attraverso il rilascio di particolari sostanze chimiche, i neurotrasmettitori. Quando una cellula del tessuto cerebrale è attiva, emette una certa quantità di queste sostanze, tra cui la dopamina, che raggiungono il neurone più vicino e lo stimolano. In risposta, il neurone varia a sua volta il proprio stato di attivazione. Il ruolo della dopamina, in particolare, è legato ai processi motòri, al senso di gratificazione e alle facoltà cognitive. Per prevenire un eccesso di stimolazione, parte della dopamina rilasciata viene riassorbita dalla stessa cellula che l’ha emessa. A questo scopo agiscono i cosiddetti enzimi di trasporto, sostanze proteiche che si legano alle molecole del neurotrasmettitore e le riportano all’interno della membrana del neurone originario.
E’ in questa fase del processo di comunicazione che interviene la cocaina. Si lega all’enzima di trasporto e gli impedisce di rendere inattive le molecole di dopamina in eccesso. Il neurone risulta così sovrastimolato.
Fino a oggi, non era mai stato accertato sperimentalmente che la sensazione di benessere provocata dall’assunzione di cocaina dipenda dall’effetto della droga sulla dopamina. Nora Volkow ha condotto le ricerche a New York studiando un gruppo di volontari, consumatori abituali della sostanza. Le funzioni cerebrali dei soggetti sono state visualizzate grazie alla tecnica della Pet, la tomografia a emissione di positroni. Somministrando diverse dosi di cocaina, la ricercatrice ha rilevato che gli effetti dello stupefacente non vengono avvertiti dal soggetto quando meno del 47% degli enzimi di trasporto è neutralizzato. Aumentando il dosaggio della droga, cresce la percentuale di enzimi resi inattivi e si accentuano le sensazioni indotte nel soggetto. Le dosi assunte abitualmente hanno la capacità di bloccare dal 60% al 77% dell’enzima.
“Gli effetti della cocaina sulla neurotrasmissione attraverso la dopamina”, spiega Volkow, “sono di lunga durata. Permangono almeno per sei mesi dopo la disintossicazione. Non sappiamo se i danni siano permanenti o se col tempo il tessuto cerebrale recuperi la sua funzionalità originaria”.
La ricercatrice ritiene che i risultati dello studio possano rivelarsi utili per progettare una sostanza in grado di contrastare l’azione dello stupefacente. Già esistono farmaci antagonisti dell’eroina, per esempio il naltrexone. L’eroina si lega direttamente ai recettori sulla membrana del neurone e lo stimola. Il naltrexone si combina agli stessi recettori, impedendo l’accesso alle molecole della droga, ma non agisce in alcun modo sulla cellula.
“Attualmente”, chiarisce Volkow, “non esistono farmaci che abbiano dimostrato di bloccare l’azione della cocaina. Alcune sostanze possono mitigarne gli effetti, limitando l’incremento della concentrazione di dopamina o dell’attività motoria”. Una sostanza antagonista della cocaina dovrebbe essere in grado di legarsi all’enzima di trasporto, senza compromettere la sua capacità di agire sulla dopamina. Volkow e i suoi colleghi hanno inoltre effettuato esami con la Pet su soggetti assuefatti alla cocaina, che da alcune settimane ne avevano sospeso l’assunzione. Ha iniettato a loro e a volontari non tossicodipendenti il metilfenidato, un altro farmaco che incrementa la quantità di dopamina nel cervello. Il suo scopo era riscontrare differenze nella risposta del tessuto cerebrale nei due campioni e individuare il mecanismo che provoca in chi è assuefatto la necessità impellente di assumere cocaina. Ha così rilevato che nei soggetti dipendenti viene stimolata in modo particolare la regione del talamo, la porzione del cervello coinvolta nelle patologie compulsive, come la bulimia o l’alcolismo.
davvero interessantissimo! e spiega molto bene e con facilità i meccanismi all’interno delle sinapsi! complimenti:)