Una combinazione di geni

Un attacco di cuore improvviso, senza alcun sintomo premonitore, che può portare anche alla morte bambini, ragazzi, giovani adulti. È la sindrome della morte improvvisa, una patologia cardiaca che colpisce soggetti fino alla quarta decade di vita. Un vero rompicapo per la medicina. La ricerca in un primo momento aveva individuato in un solo gene il fattore scatenante, ma studi recenti – alcuni ancora in corso – dimostrano che all’interno della stessa famiglia, soggetti che presentano un uguale difetto genetico hanno manifestazioni della patologia molto diverse. “I dati nuovi”, spiega Silvia Priori dell’Università di Pavia che grazie ai finanziamenti Telethon ha potuto condurre molti studi su questa materia, “suggeriscono che ci sono delle persone che presentano altri difetti genetici, ma che in combinazione con il difetto primitivo lo modulano: alcuni hanno due difetti genetici che rendono la malattia più grave, altre hanno due difetti e uno contrasta l’effetto dell’altro, come se il secondo fosse protettivo”. Non fermarsi quindi al difetto genetico maggiormente indiziato, ma andare alla scoperta dei fattori di modulazione. “Per esempio alcune mutazioni sul canale che controlla il sodio all’interno della cellula che possono avere questi effetti protettivi”, va avanti la cardiologia che ha presentato i suoi studi recenti al workshop internazionale di Ingegneria cardiaca, organizzato questa settimana dal Centro di cultura scientifica “Ettore Majorana” di Erice. “La mutazione viene ereditata da un genitore o è un errore della copiatura del programma genetico durante l’embriogenesi (durante la formazione dell’embrione all’interno dell’utero materno, ndr)”, prosegue Priori. “Stiamo cercando di fare una valutazione specifica di altre mutazioni che possono modificare il difetto genetico primario. Il dato genetico viene verificato mediante studi di espressione dove si preparano dei canali ionici con due mutazioni e si cerca di documentare in vitro questo effetto reciproco di bilanciamento o peggioramento”.Fra i fattori che predispongono alle aritmie ventricolari, e quindi alla sindrome da morte improvvisa, c’è il malfunzionamento del metabolismo del calcio, a sua volta implicato nello sviluppo dello scompenso cardiaco, l’incapacità del cuore di pompare in maniera sufficiente così da assicurare una corretta ossigenazione dei tessuti, come ha dimostrato uno studio condotto da due ricercatori statunitensi – Donald Bers (Loyola University of Chicago) e Gerald W. Dorn (Medical Universith of South Carolina) presentato nella stessa occasione. “Ciò che sta emergendo è molto importante”, spiega Gianluigi Condorelli dell’Università “La Sapienza” di Roma. “Gli stessi meccanismi che sono alla base dell’alterata contrattilità del cuore sono anche alla base della predisposizione delle aritmie mortali. Un’acquisizione scientifica di grande importanza: conoscere il complesso molecolare che controlla la funzionalità del muscolo cardiaco, vuol dire intervenire con farmaci in maniera mirata e razionale”. Per ora la scoperta di Priori avrà delle ripercussioni in termini di prevenzione: obiettivo immediato della ricerca infatti è quello di identificare all’interno della stessa famiglia quali siano i soggetti altamente a rischio, per intraprendere un’opportuna attività preventiva. Sul lungo termine invece la prospettiva è quella di poter ricorrere alla terapia genica. “Un discorso molto affascinante”, commenta la ricercatrice, “ma prematuro: il tessuto cardiaco, non replicandosi, fa sì che qualunque terapia genica non produca, al momento, effetti”. Anche se vengono inseriti geni non mutati nella cellule cardiache, queste, non replicandosi, non riescono a utilizzare la nuova informazione. “Una difficoltà, non indifferente, che tuttavia supereremo”, dice Priori.

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here