Una cura in provetta

Secondo i ricercatori dell’Harvard University di Boston le cellule beta del pancreas, che hanno l’importante compito di produrre l’insulina, l’ormone coinvolto nel metabolismo del glucosio e che vengono distrutte nel diabete di tipo 1, si riprodurrebbero mediante la duplicazione di cellule già esistenti e non attraverso la differenziazione di cellule staminali adulte. Lo studio, pubblicato su Nature, sembrerebbe dunque aprire nuove prospettive terapeutiche per la cura di questa malattia. Le cellule beta si trovano in una particolare regione del pancreas, le isole di Lagherans, e costituiscono il bersaglio del diabete di tipo 1. Questo tipo di diabete, detto anche giovanile, è una malattia autoimmune. Per ragioni ancora ignote durante l’infanzia o la giovinezza, il sistema immunitario inizia ad aggredire le cellule beta, distruggendole. La carenza di insulina provoca una ridotta utilizzazione del glucosio da parte delle cellule e quello in eccesso si accumula nel sangue. La distruzione delle cellule beta è graduale e progressiva. Quando circa l’80-90 per cento di queste cellule è distrutto, si ha la comparsa della malattia. A questo punto è indispensabile effettuare ogni giorno numerose iniezioni di insulina (per questo il diabete di tipo 1 viene anche definito insulino-dipendente). La terapia insulinica prevede iniezioni prima di ogni pasto e prima di andare a dormire. Il diabete di tipo 1, che rappresenta circa il 10 per cento di tutti i casi, dunque, è una malattia molto diversa dal tipo 2 (o diabete senile perché colpisce prevalentemente gli adulti), che è causato non da una mancata produzione di insulina, ma da un’insensibilità dei tessuti all’azione dell’ormone (insulino-resistenza). I ricercatori impegnati nello studio del diabete di tipo 1 da tempo stanno cercando di capire se esiste un modo per far riprodurre le cellule pancreatiche distrutte. Fino a oggi l’unico intervento possibile è rappresentato dal trapianto dell’intero pancreas o delle beta cellule isolate. Entrambi gli interventi presentano notevoli problematiche. Come si può far riprodurre le preziosissime cellule beta? Le cellule staminali embrionali sono totipotenti, cioè sono in grado di generare tutte le linee cellulari, mentre quello che non è chiaro è se le staminali adulte, isolabili dai vari organi, siano in grado di fare altrettanto. Nell’esperimento Douglas Melton e la sua équipe ha utilizzato in modelli animali una tecnica chiamata “genetic lineage tracing”: i ricercatori hanno somministrato a dei topi giovani un farmaco (il tamoxifene), per marcare le beta-cellule. Quando gli animali sono cresciuti gli studiosi hanno estratto il pancreas e hanno osservato che la percentuale delle cellule marcate non diminuiva ma rimaneva costante. Un risultato che ha reso evidente come nessuna delle cellule beta fosse originata dalle cellule staminali. “In base ai risultati di questo esperimento”, commenta Dario Pitocco, diabetologo dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma, specializzato nello studio del diabete di tipo 1, “è possibile fare alcune importanti riflessioni, sia dal punto di vista clinico-terapeutico che fisio-patologico. La prima considerazione riguarda la possibile applicabilità dei risultati dello studio nel campo dei trapianti delle beta cellule isolate. Al momento, a causa del grande numero di pazienti la donazione degli organi è in grado di fornire solo l’1 per cento delle beta cellule necessarie. Aver capito che le beta cellule sono in grado di rigenerarsi può facilitare la messa a punto di tecniche atte ad aumentare in vitro il numero delle cellule trapiantabili. Allo stesso tempo la ricerca potrebbe rappresentare un ulteriore conferma della teoria secondo la quale all’interno del diabete di tipo 1 possono essere individuate diverse condizioni cliniche, con differente storia patogenetica. Molto probabilmente, infatti, la storia naturale del diabete di tipo 1 nel bambino non è uguale a quella dell’adolescente o dell’adulto, tanto che oggi si parla anche di NIRAD (Non Insulin Requiring Autoimmune Diabetes), di una forma cioè di diabete in cui è riscontrabile la presenza dell’autoimmunità (come nel diabete di tipo 1) mediante il dosaggio degli anticorpi, ma che, a differenza del tipo 1, non richiede la terapia insulinica. Quasi a dimostrare che nella lotta contro l’autoimmunità le beta cellule continuano a riprodursi e non diminuiscono di numero”.“Pur con la dovuta cautela”, conclude il ricercatore, “lo studio può aiutarci a interpretare meglio l’evoluzione clinica di questa malattia così complessa e in parte ancora oscura, oltre a fornire un’arma in più per la messa a punto di nuove tecniche nel campo dei trapianti”.

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