Una doccia di batteri

Se lavarsi le mani aiuta a prevenire le infezioni, farsi la doccia potrebbe farle venire. Il problema sta tutto nell’erogatore, come avverte una ricerca dell’Università di Boulder, Colorado, che ha messo in evidenza la potenziale formazione di elevate concentrazioni di batteri patogeni soprattutto negli erogatori in plastica.

Norman Pace, primo autore dell’articolo pubblicato su Proceedings of the National Academy of Sciences (Pnas), ha condotto lo studio in nove centri e città statunitensi, tra cui New York, analizzando 50 erogatori di docce sia in case private, sia in luoghi pubblici. Il 30 per cento degli impianti esaminati presentava livelli significativamente alti di Mycobacterium avium, un patogeno che provoca malattie polmonari soprattutto in persone con deficit immunitari, ma che in alcuni casi riesce ad infettare anche chi gode di ottima salute.

Come riportano i ricercatori, rilevare la presenza di patogeni negli acquedotti comunali è piuttosto normale. Il problema si crea nelle abitazioni perché i batteri si accumulano nella doccia di casa, raggruppandosi in sottili biofilm all’interno dell’erogatore e raggiungendo concentrazioni anche cento volte maggiori rispetto a quelle dell’acquedotto. In questo modo può accadere facilmente di inalare goccioline cariche di batteri.

Lo studio segue un’indagine del National Jewish Hospital di Denver secondo cui in Usa, negli ultimi dieci anni, si è avuto un incremento di malattie polmonari legate a micobatteri  non tubercolotici come il M. avium, soprattutto in persone abituate a fare più la doccia che non il bagno. Perciò niente più docce? “Sicuramente, se non ci sono problemi di salute il rischio di infezione è minimo” rassicura Pace, ma meglio cambiare l’erogatore di plastica con uno si metallo.

Pace, in precedenti studi, aveva rilevato la presenza di M. avium anche nei residui saponosi che si accumulano nelle tendine in plastica delle docce e la stessa ricerca è inserita in un più ampio progetto che si propone di monitorare i livelli microbiologici in ambienti chiusi. (a.d.)

Riferimento: doi:10.1073/pnas.0908446106

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