Categorie: Società

Una firma batterica contro i crimini sessuali

Chi segue assiduamente telefilm polizieschi o le pagine di cronaca nera lo sa bene: può bastare un capello per acciuffare un criminale. Ma non sempre le analisi sui reperti raccolti dagli investigatori sono sufficienti a incastrare il colpevole. In caso di crimini sessuali, tuttavia, la prova schiacciante potrebbe essere non tanto il capello quanto i batteri che vivono tra i peli pubici. È quanto ha evidenziato una ricerca dell’australiana Murdoch University pubblicata su Investigative Genetics.

Peli e capelli sono i reperti più comunemente ritrovati sulla scena del crimine, ma se mancano di radice o sono caduti naturalmente potrebbero non contenere abbastanza Dna per fornire indizi sulll’identità del sospettato. Un approccio alternativo potrebbe essere rappresentato dalla metagenomica, cioè lo studio delle comunità microbiche (o microbiota) del nostro organismo, una sorta di firma batterica specifica per ogni regione del corpo e in alcuni casi per ogni individuo.

Durante lo studio dell’università australiana sono state condotte analisi periodiche su capelli e peli pubici di sette persone, tra cui una coppia convivente. I risultati preliminari hanno mostrato che il microbiota dei peli pubici presenta differenze individuali costanti nel tempo tali da permettere la distinzione tra soggetti diversi. Nel caso della coppia tuttavia sono state evidenziate delle similarità nel microbiota poche ore dopo un rapporto sessuale. Questo lascia presupporre che tra i due partner sia avvenuto un trasferimento batterico.

Per i ricercatori, questi risultati mostrano che l’analisi della popolazione batterica residente sui peli pubici potrebbe essere uno strumento particolarmente adatto agli investigatori in caso di crimini sessuali, specialmente se lo stupratore non ha lasciato altre tracce biologiche. “L’avvento del profiling del Dna ha visto un aumento nel numero di molestatori sessuali che usano il preservativo”, commenta Silvana Tridico, che ha condotto la ricerca. “Il trasferimento di batteri in caso di violenza sessuale potrebbe fornire un nuovo modo per collegare il criminale alla vittima nel caso in cui non venga trasferito Dna umano”.

Riferimenti: Investigative Genetics doi:10.1186/s13323-014-0016-5

Credits immagine: Anthony D’Onofrio/Flickr CC

Alessandra Ballone Burini

Laureata in Biologia Applicata, capisce ben presto di preferire mouse e tastiera a camice e microscopio. Mentre lavora come copywriter nell'editoria per bambini, nel 2014 frequenta il Master SGP all'Università “La Sapienza” di Roma.

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