Una legge contro il dolore

Il dolore, una malattia nella malattia. E come tale da curare con trattamenti adeguati. Anche con l’uso di sostanze oppioidi, per esempio la morfina e il metadone, soprattutto nei malati di tumore. In Italia la legge vigente, studiata per evitare l’abuso di stupefacenti, non tiene conto delle esigenze dei pazienti con dolore e dei benefici che derivano dall’uso terapeutico di tali sostanze. Non lo denunciano i soliti antiproibizionisti, ma gli oncologi stessi. Basti pensare che oggi un medico che prescrive un farmaco per il controllo del dolore deve sopportare procedure burocratiche complicate, e convive con il rischio di una denuncia per spaccio di droga alla minima anomalia. Una situazione che però potrebbe cambiare: è al vaglio in questi giorni alla Camera dei deputati, una proposta innovativa del ministro della Sanità Umberto Veronesi, redatta su indicazione della commissione appositamente costituita dal Cuf (Commissione unica del farmaco) e guidata dal primario di Oncologia medica dell’Ospedale “Morgagni-Pierantoni” di Forlì, Dino Amadori.

Dopo l’appello che gli oncologi italiani avevano lanciato al ministro Veronesi lo scorso maggio durante un congresso internazionale a New Orleans, a rendere più urgente la richiesta di una nuova legge è arrivato, un mese dopo, il caso di alcuni medici di Grosseto multati dalla Asl maremmana per aver prescritto un medicinale (Durogesic) che rende sopportabile il dolore causato dalle metastasi. La specialità è fuori legge perché gli effetti analgesici dei tre cerotti contenuti in una confezione durano nove giorni, uno in più rispetto agli otto stabiliti dalla legge attuale. Eppure si tratta di “un medicinale prezioso, molto usato in oncologia e tacitamente accettato da tutti, medici e farmacisti, proprio in virtù delle sue capacità terapeutiche”, come afferma Marco Maltoni, oncologo dell’ospedale di Forlì e membro della commissione istituita dal Cuf.

Le novità suggerite dalla commissione sono essenzialmente tre: in primo luogo la durata massima dei farmaci prescritti passerebbe da otto a 30 giorni. In secondo luogo si inserirebbero nella lista dei mutuabili alcuni medicinali oggi a carico del paziente, spesso molto costosi (una sola confezione può raggiungere le 300 mila lire). Infine, si allargherebbe la rosa dei farmaci prescrivibili ai pazienti oncologici. “Esistono farmaci anche non oppioidi indicati solo per alcuni tipi di dolore, che potrebbero invece essere molto utili anche in altri casi”, continua Maltoni. “Il Voltaren, per esempio, che si poteva somministrare soltanto per l’artrosi, con le nuove note Cuf si può prescrivere anche per altri tipi di dolore, in particolare quello oncologico”. La proposta di legge non dimentica nemmeno il personale impegnato nel servizio – oggi molto attivo – di assistenza domiciliare: medici di famiglia, infermieri e specialisti ospedalieri che portano i farmaci oppiacei direttamente nelle case dei pazienti. “Per far fronte alle urgenze è indispensabile avere sempre nella borsa un quantitativo di oppioidi anche modico. Ma finora la procedura era talmente complicata che nessuno di noi poteva viaggiare tranquillo”, spiega Maltoni.

Quali e quanti sono questi farmaci della discordia? “In Italia non siamo certo all’avanguardia rispetto agli altri paesi europei in materia di utilizzo di farmaci oppioidi. Anzi, rispetto al resto del mondo siamo quelli che ne usano meno”, afferma Maltoni. “Le proporzioni tra noi e paesi come l’Inghilterra, la Francia e la Danimarca sono di uno a cento, talvolta di uno a mille. Tra gli oppioidi deboli abbiamo solo tre scelte: codeina, tramadolo e buprenorfina. Nel campo di quelli forti, invece, usiamo in primo luogo la morfina, che resta la sostanza più importante. Poi c’è un derivato sintetico, noto come fentanil citrato, rilasciato dai cerotti Durogesic. E infine il metadone”.

La paura è che questi farmaci inducano nel paziente dipendenza sia fisica che psicologica. Timori immotivati, poiché “la letteratura internazionale riconosce che il problema della dipendenza psicologica da morfina non esiste. È soltanto uno dei tanti miti di cui solitamente questa sostanza viene ammantata”, spiega ancora l’oncologo forlivese. “Prendiamo il caso di una persona affetta da tumore, che si sottopone regolarmente alla chemioterapia e che prende la morfina per attenuare il dolore. Gli studi dimostrano che, nei casi in cui la terapia funzioni e il tumore regredisca, solo un paziente su mille accusa dipendenza psicologica e non riesce quindi a calare progressivamente il dosaggio di morfina. Una percentuale minima”. Altra cosa sarebbe invece la dipendenza fisica. Non si può negare che, nei casi di successo terapeutico, un’interruzione repentina della somministrazione di oppioidi possa dare problemi d’astinenza. “Ma è sufficiente ridurre il dosaggio nel tempo. Non si può ovviamente passare da cento milligrammi oggi, a zero domani”, conclude Maltoni.

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