Una legge efficace

Pressoché dimezzato, rispetto a 20 anni fa, il numero degli aborti in Italia. Ancora più ridotto quello delle interruzioni di gravidanza clandestine: ne sono state stimate 21.100 nel corso del 2000, con una riduzione dell’80 per cento rispetto al 1983. Sono questi i risultati diffusi dall’Istituto superiore di sanità (Iss), dal Ministero della Salute e dall’Istat, presentati a Roma nel corso del convegno “L’interruzione volontaria di gravidanza in Italia: studio delle tendenze e dei fattori di rischio”. “La legalizzazione dell’aborto nel nostro paese”, dichiara Michele Grandolfo, dirigente di ricerca presso l’Iss, “ha portato ha una maggiore diffusione di informazioni sui metodi della procreazione responsabile che ha maturato maggiori consapevolezze e competenze da parte delle donne e delle coppie nel regolare la fecondità con metodi alternativi all’aborto”. I dati, infatti, dimostrano, secondo l’epidemiologo, “che il ricorso all’aborto non rappresenta una scelta d’elezione, ma un’ultima ratio e che i sostenitori di quest’ultima teoria avevano avuto una felice intuizione”.Una dimostrazione della validità dell’ipotesi dell’ultima ratio viene dalle maggiori riduzioni del tasso di abortività osservate tra le donne più istruite, occupate e coniugate. Il numero di aborti, infatti, è diminuito del 55 per cento tra le coniugate, del 37 per cento tra le più istruite e del 30 per cento tra le occupate. “Le donne che possiedono un più alto livello di scolarizzazione, quelle che hanno maggiori opportunità di socializzazione o che si trovano in condizione di gestire rapporti sessuali stabili e di pianificare metodi di contraccezione”, continua l’esperto, “possono acquisire, più di altre, quelle conoscenze utili a evitare interventi invasivi”. Un’altra prova dell’efficacia della legalizzazione del fenomeno la si trova nel trend seguito dagli aborti ripetuti. “Inizialmente era forte il timore che la legalizzazione avrebbe facilitato e aumentato l’accesso alla pratica interruttiva proprio tra le donne con una precedente esperienza abortiva. E invece non è stato così”. A discapito di un tasso atteso di circa il 45 per cento le donne che ricorrono oggi all’aborto, dopo averne già subito uno, sono meno del 20 per cento. E lo stesso discorso si può fare per gli aborti clandestini, dove lo sviluppo di maggiori informazioni ha consentito di registrare dati ancora più incoraggianti, pari a una riduzione dell’80 per cento, a fronte di una riduzione del 50 per cento dell’aborto legale, e a una diminuzione complessiva di due terzi del fenomeno.Purtroppo, però, a una costante riduzione delle Ivg tra le italiane si contrappone un aumento della pratica abortiva tra le immigrate. Delle 138 mila Ivg effettuate complessivamente in Italia nel 1999, più di 18 mila, pari al 14 per cento, hanno coinvolto cittadine straniere, rispetto alle 9.850 registrate nel 1986. Perché questi numeri così elevati? “E’ normale”, afferma Grandolfo, “che la prima causa di questo aumento sia legata alla sempre più massiccia presenza di immigrate nel territorio italiano. In secondo luogo, contrariamente a quanto potrebbe immaginarsi, queste donne ricorrono più frequentemente all’aborto, non perché non istruite, ma in quanto provenienti da paesi dove la diffusione delle conoscenza sui metodi per una procreazione responsabile non è garantita, e dove spesso è addirittura vietato l’utilizzo di qualsiasi strumento contraccettivo”.Cosa fare, dunque, per ridurre ulteriormente il numero degli aborti volontari? “Potenziare l’informazione”, conclude Grandolfo, “e lo sviluppo di conoscenze adeguate tra le donne, valorizzando innanzitutto l’attività di ‘counseling’ dei consultori e sfruttando al riguardo tutte le occasioni che si presentano nella vita di una donna. Nel periodo che va dalla gravidanza ai primi anni di vita del bambino, per esempio, gli operatori sanitari hanno una formidabile carta in mano per sviluppare le competenze delle mamme sui metodi utili alla prevenzione di una futura gravidanza indesiderata”. Inoltre, poiché uno dei bersagli privilegiati dai programmi per la prevenzione dei tumori è costituito proprio dalle donne tra i 25 e i 49 anni, “quando il medico offre il pap test, potrebbe sfruttare l’incontro per cercare di affrontare il tema. Senza dimenticare, infine, che sarebbe forse opportuno iniziare a formare i giovani quando ancora siedono sui banchi di scuola, attraverso l’insegnamento dell’educazione sessuale”.

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