Una passeggiata contro il diabete

L’attività fisica, per anni ritenuta una buona prevenzione nell’insorgenza del diabete mellito di tipo 2, oggi viene “promossa” a vera e propria terapia coadiuvante della patologia diabetica. Un gruppo di diabetologi riuniti nel centro “Ettore Majorana” di Erice, sotto la guida di Aldo Galluzzo dell’Università di Palermo e Maurizio Di Mauro dell’Università di Catania è giunto alla conclusione che il paziente diabetico deve essere seguito, oltre che dal diabetologo, dall’endocrinologo e dal cardiologo, anche da un esperto di scienze motorie: un operatore di fitness metabolica. L’attività fisica, infatti, dimostrano gli studi clinici, fa bene, molto bene; tuttavia, deve essere eseguita tenendo conto delle condizioni generali di ogni singolo soggetto: non c’è, dunque, un’attività fisica standard che va bene per tutti. “Una non corretta attività”, dice Galluzzo, “può, infatti, avere ripercussioni negative”. In linea generale, il consiglio fornito dagli esperti è quello di svolgere un’attività fisica aerobica (dal ballo alla passeggiata) in maniera costante e duratura nel tempo, proporzionale alle proprie possibilità di movimento. Come è noto i diabetici sono soggetti che corrono sensibili rischi di ammalarsi di patologie cardiovascolari: dall’infarto all’ictus. Gli obiettivi terapeutici per ridurre il rischio di complicanza cardiovascolare, mediante l’attività fisica, sono quelli legati alla riduzione del peso corporeo (quanto più possibile vicino a quello che viene considerato il peso ottimale), al contenimento sotto i 100 mg di colesterolo LDL, al raggiungimento di almeno 40 mg di colesterolo HDL (quello definito buono e deputato a spazzar via dalle arterie i depositi che predispongono alla formazione delle placche), l’abbassamento del livello di trigliceridemia al di sotto dei 150 mg, al mantenimento dei valori di pressione arteriosa sotto la soglia di 135/85. “L’attività fisica è in grado di fare tutto questo”, spiega Di Mauro. “Per il livello del colesterolo HDL (buono), per esempio, l’unico modo per farlo aumentare a livello ottimali è l’attività fisica; non esistono farmaci che abbiano questa straordinaria capacita”. L’attività fisica ha poi l’importante ruolo di migliorare la sensibilità insulinica: nei soggetti diabetici di tipo 2, di insulina in circolo ce ne è anche troppa; tuttavia questa insulina non funziona bene, non svolge cioè il suo compito di regolamentare il livello di glucosio nel sangue. “Il movimento costante”, dice Di Mauro, “contribuisce a riportare a livelli fisiologici il quantitativo di insulina e, allo stesso tempo, la rende più efficace”.Ai pazienti diabetici gli esperti chiedono, quindi, di cambiare abitudini di vita, senza, tuttavia, compiere molti sacrifici: lasciare quanto più possibile l’auto in garage, per esempio, e fare qualche chilometro al giorno in più: l’esercizio aerobico, come una passeggiata, sembra essere il movimento più salutare, più idoneo, e anche quello che produce risultati più duraturi nel tempo. Non tutti sanno, per esempio, che nell’attività fisica di intensità bassa ma di lunga durata il 50% del carburante prediletto dal nostro organismo è il grasso; attingere a questo deposito vuol dire, naturalmente, favorire lo smaltimento di un elemento che, se lasciato troppo a riposo, immagazzinato, può portare all’aumento di peso, fino all’obesità.“Che l’attività fisica fa bene a chi soffre di diabete”, ricorda Galluzzo. “Lo dimostrano alcuni pazienti diabetici trapiantati, che praticano attività agonistica: Tony Pecora, il primo statunitense a ricevere nel 2002 un trapianto di insule pancreatiche, ha festeggiato, due anni dopo, l’avvenuta indipendenza dall’insulina con la partecipazione agli U.S. Transplant Games, vere e proprie olimpiadi riservati a trapiantati d’organo o midollo osseo”. Numerosi gli sport olimpici riservati ai diabetici trapiantati: bowling, atletica leggera, badminton, ciclismo, golf, bocce, mini maratone, canottaggio, squash, nuoto, ping pong, tennis e pallavolo. “Certo non tutti posso svolgere attività agonistica”, sottolinea Galluzzo, “ma, generalmente, i trapiantati che hanno subito l’intervento da oltre 12 mesi, che hanno un livello di emoglobina di almeno 10 g/dl e che presentano assenza di stenosi coronarica all’angiografia, sono soggetti candidabili all’agonismo olimpionico”.

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here