Una terapia genica per la talassemia

In futuro forse sarà possibile curare la beta talassemia grazie a una tecnologia di editing del genoma denominata Crispr-Cas, che permette di “riparare” le alterazioni presenti nel Dna dei pazienti. È quanto emerge da una ricerca pubblicata recentemente su Genome Research dai ricercatori dell’Università della California di San Francisco e del Blood Systems Research Institute, negli Stati Uniti.

La beta talassemia è la forma di talassemia più diffusa nei paesi del bacino del Mediterraneo. Si tratta di una malattia genetica ereditaria dovuta a un difetto delle catene beta dell’emoglobina, componente dei globuli rossi che permette il trasporto dell’ossigeno attraverso il sangue. Per contrastare la scarsa ossigenazione dei tessuti, i pazienti talassemici sono costretti a ripetute trasfusioni di globuli rossi, accompagnate dalla somministrazione di un farmaco che impedisce un eccessivo accumulo di ferro causato dalle trasfusioni stesse. L’unica cura definitiva oggi disponibile consiste in un trapianto di midollo osseo o di cellule staminali ematopoietiche prelevati da un donatore compatibile.

Lo studio americano lascia invece intravedere la possibilità di curare i pazienti senza ricorrere a un donatore esterno. I ricercatori hanno prelevato le cellule della pelle dai pazienti talassemici e da queste prodotto cellule staminali pluripotenti indotte (Ipsc), in grado di differenziarsi in tutti i tipi di cellule del corpo umano. Grazie alla tecnologia di editing Crispr-Cas hanno rotto il Dna delle Ipsc nei punti in cui si trova il gene difettoso che codifica il filamento beta dell’emoglobina, per sostituirlo con una copia corretta. Le staminali così “riparate” sono state differenziate in cellule del sangue mature, che presentano però una corretta espressione dell’emoglobina.

I ricercatori tengono a precisare che serviranno ancora molti anni di sperimentazione prima di riuscire a trapiantare queste cellule nei pazienti affetti da beta talassemia e arrivare quindi a una terapia genica efficace. “Anche se siamo in grado di differenziare le cellule staminali pluripotenti indotte in progenitori delle cellule del sangue e in cellule mature, il trapianto di progenitori in modelli animali si è finora dimostrato molto difficile”, spiega infatti Yue Wai Kan, autore senior dello studio.

Riferimenti: http://www.eurekalert.org/emb_releases/2014-08/cshl-sgc072914.php

Credits immagine: MDougM

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