Categorie: Spazio

Uno zoom galattico per fotografare l’Universo lontano

Dove non riusciamo ad arrivare con la tecnologia, arriva in aiuto la natura. Usando la massa delle galassie, infatti, gli astronomi dello Space Telescope Science Institute (Stsci) di Baltimora, sono riusciti a ottenere un’immagine dell’Universo lontanissimo, che ritrae gli oggetti più distanti finora mai visti. Gli scienziati hanno sfruttato le cosiddette lenti gravitazionali: enormi quantità di materia – gli ammassi galattici, in questo caso – che generano fortissimi campi gravitazionali, piegando lo spazio-tempo che li circonda e deviando la traiettoria della luce proveniente da oggetti celesti che si trovano dietro di essi rispetto all’osservatore. Come suggerisce il nome, si tratta quindi di vere e proprie lenti di ingrandimento cosmiche, che mettono a fuoco stelle e galassie che altrimenti sarebbero troppo deboli e distanti da vedere.

Gli astronomi, che hanno caricato il loro lavoro su ArXiv in attesa della pubblicazione su Astrophysical Journal e presentato l’immagine al convegno della American Astronomical Society, hanno individuato sei ammassi di galassie che si prestano bene a fare da lenti gravitazionali e hanno usato il Telescopio Spaziale Hubble per scattare la prima immagine di un ammasso chiamato Abell 2744, anche noto come ammasso di Pandora. Si pensa sia il sito dove è avvenuta una gigantesca collisione di quattro ammassi galattici distinti. La foto è stata prodotta dopo oltre 50 ore di esposizione, e rivela le immagini curve e deformate di migliaia di galassie, alcune delle quali distano oltre 12 miliardi di anni luce dalla Terra. Si tratta, quindi, anche di una curiosa macchina del tempo: l’immagine permette infatti di apprezzare l’aspetto che quella porzione di Universo aveva solo un miliardo di anni dopo il Big Bang.

L’intero studio, che si chiama Frontier Field e andrà avanti per almeno altri tre anni, aiuterà gli astronomi a determinare quando si sono formate per la prima volta le galassie nell’Universo. E, auspicabilmente, anche a tracciare le quantità di materia oscura presente negli ammassi galattici, portando a una comprensione migliore del comportamento di quest’elemento estremamente esotico e misterioso.

Via: Wired.it

Riferimenti: ArXiv

Credits immagine: Nasa, Esa, J. Lotz, M. Mountain, A. Koekemoer, Hff Team (Stscl)

Sandro Iannaccone

Giornalista a Galileo, Giornale di Scienza dal 2012. È laureato in fisica teorica e collabora con le testate La Repubblica, Wired, L’Espresso, D-La Repubblica.

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