Usa vs. Microsoft

    Bill Gates, fondatore e presidente della prima società di software del mondo, la Microsoft Corporation, che controlla circa il 90% del mercato mondiale dei sistemi operativi per personal computer, è da tempo impegnato in estenuanti battaglie legali. Le ostilità erano iniziate in sordina con le richieste dei produttori di software concorrenti di scindere in due divisioni, una dedicata alla sviluppo del sistema operativo e una alle applicazioni, il colosso informatico americano, per limitarne gli ovvi vantaggi nella compilazione degli applicativi (tutto ciò che non è sistema operativo). Le vertenze erano proseguite poi con un ordinanza federale emessa dal giudice Thomas Penfield Jackson che imponeva alla Microsoft di commercializzare Windows 95 senza evidenziare sul desktop l’icona del software Internet Explorer, prodotto dalla stessa società e distribuito gratuitamente ai propri utenti.

    Ora l’attenzione del Dipartimento di Giustizia americano è incentrato sul nuovo Windows 98, per il quale Gates è accusato di aver usato il suo potere di monopolio nel settore dei sistemi operativi per soffocare la concorrenza, in particolare la Netscape Communications, obbligando tutti i consumatori a usare il suo browser, ora addirittura indissolubilmente legato all’interfaccia utente (per chi ancora non avesse avuto la possibilità di provare il nuovo Windows 98, ogni finestra di sistema, come per esempio le “Risorse del computer”, ha l’interfaccia del browser Explorer. Ciò rende possibile aggiornare il driver di una periferica, mentre magari si stanno sfogliando le cartelle contenute nel proprio hard-disk). La multinazionale di Redmond, che ha un punto di vista Web-centrico e non è disponibile a invertire la rotta intrapresa, risponde alle accuse affermando che Internet Explorer è parte integrante del sistema operativo, e che la sua rimozione ne danneggerebbe almeno in parte le prestazioni. Alle reiterate affermazioni di Gates, l’Antitrust risponde allora chiedendo alla Microsoft di consegnare il codice sorgente di Windows, ovviamente uno dei segreti protetti più gelosamente.

    L’immagine negativa di società monopolista insofferente alle richieste del governo e delle associazioni dei consumatori non sembra preoccupare più di tanto l’azienda americana. Perché in ballo ci sono le immense prospettive dei profitti ottenibili dal controllo del World Wide Web, e anche perché la Microsoft è intimamente convinta dell’impossibilità di confutare le proprie affermazioni. Ma come mai a Redmond sono così sicuri di vincere la partita?

    In senso stretto, un sistema operativo è stato definito dai giudici Usa “un insieme di istruzioni, codici e informazioni ausiliare che controllano le operazioni di un personal computer e gestiscono l’interazione tra la memoria del computer e i dispositivi collegati” (Memorandum and Order, Final Judgment, 11 dicembre 1987), e da questa definizione rigorosa il browser Explorer non va considerato come una parte integrante di Windows. Ciò che è vero da un punto di vista strettamente tecnico, non lo è però altrettanto dal punto di vista del consumatore: siamo certi noi di avere un’esatta percezione di tutto quello che fa parte del sistema operativo o di ciò che invece deve essere considerata una applicazione esterna ad esso? Un esempio calzante di come sia sottile questa differenza è l’utility Scandisk (permette di verificare gli errori sul proprio disco rigido): nessuno può affermare che la sua presenza sia indispensabile all’esistenza stessa del sistema operativo, ma essa viene fornita a corredo del pacchetto di installazione Windows e con la versione targata 95 o 98 parte automaticamente al riavvio del computer ogni volta che il sistema è stato interrotto impropriamente.

    Lo stesso discorso vale ovviamente per tutti quegli applicativi esterni come Defrag (permette di ottimizzare la scrittura dei dati sul disco) o Deltree (consente l’eliminazione di un’intera directory) che, offerti in origine da altre case produttrici di software, sono stati acquistati dalla Microsoft. Il risultato è che ormai la maggior parte degli utenti – che ne fruisce gratuitamente, visto che il loro acquisto non comporta una spesa aggiuntiva rispetto a quella del sistema operativo – è abituata a considerare queste utilities parte del sistema operativo. Ed è su questa profonda ambiguità che il colosso di Redmond spera di aver ragione delle accuse mossegli dagli organismi antitrust americani.

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