Perché la vaccinazione da sola non basta per eradicare Covid-19

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A volte la storia può venirci in aiuto per comprendere meglio quale strada dobbiamo prendere. È il caso di successo del vaiolo, eradicato nel 1980 dopo secoli di epidemie ripetute. La vaccinazione fu essenziale, ma non senza gli sforzi combinati e le strategie di mitigazione e contenimento della diffusione del virus. Lo spiegano due storiche, specializzate in storia della medicina e delle tecnologie, sulle pagine di The Conversation

di Caitjan Gainty e Agnes Arnold-Forster

Il vaiolo ha ucciso una quantità incommensurabile di persone – 300 milioni soltanto nel 20° secolo – prima di essere definitivamente dichiarato debellato l’8 maggio 1980. È stato un giorno epocale, che ha segnato quello che l’attuale direttore generale dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), il dottor Tedros Adhanom Ghebreyesus, ha definito il il più grande “trionfo della salute pubblica nella storia del mondo”.

Il vaiolo, come ha sottolineato un ricercatore, “è stato debellato unicamente attraverso la vaccinazione”. Oggi, questa conquista risulta particolarmente incoraggiante e sembra andare incontro a una sua riedizione, visto che i governi di tutto il mondo richiamano l’attenzione delle persone sul fatto che il vaccino contro Covid presto porrà fine alla pandemia e consentirà di tornare alla normalità.

A livello globale le valutazioni anticipate sono all’ordine del giorno. I vaccini sono una “luce alla fine del tunnel”, il nostro biglietto per la “normalità”. Hanno messo in luce una “vera fine”. Dal governatore di New York, Andrew Cuomo, è arrivata l’inevitabile analogia militare: il vaccino non è altro che l’arma che farà vincere la guerra”.


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Le attuali campagne di vaccinazione non stanno provando a eradicare il Sars-Cov-2, il virus che causa il Covid. Ma, sulla base della storia della vaccinazione contro il vaiolo, e anche abbassando molto l’asticella, l’immunità di gregge sarà difficile da raggiungere se riponiamo così tanta speranza sulla vaccinazione.


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Sebbene l’eradicazione del vaiolo sia spesso considerata una prova del definitivo successo dei vaccini, non bisogna dimenticare che questa malattia ha imperversato per secoli prima che fosse finalmente debellata. Uno dei primi passi verso la sua eliminazione avvenne nel 1796 quando, come dice una storia apocrifa, Edward Jenner iniettò pus estratto dalla lesione di vaiolo del bestiame da una cameriera nel braccio del figlio di otto anni del suo giardiniere.

I 150 anni successivi sono stati caratterizzati dalla preoccupazione sull’efficacia, la sicurezza e gli effetti collaterali del vaccino. Perfino nel 1963, i medici inglesi erano ancora allarmati dalla lenta accettazione della vaccinazione di routine contro il vaiolo, avvertendo che questa “indifferenza” avrebbe richiesto un “vasto programma di rieducazione”.

L’esitazione non era l’unico problema. Ancora nel 20° secolo, i vaccini erano distribuiti in modo diseguale in tutto il mondo e epidemie periodiche hanno assicurato che il vaiolo rimanesse endemico in gran parte del mondo, in particolare nei paesi in via di sviluppo.

Nel 1967, quando l’Oms lanciò un programma decennale intensificato per l’eradicazione del vaiolo, altri quattro obiettivi per l’eliminazione di altre malattie (anchilostoma, febbre gialla, framboesia e malaria) avevano già fallito e molte persone coinvolte in questi programmi erano diventate scettiche sull’eradicazione come obiettivo finale. In effetti, il direttore generale dell’Oms del 1966, Marcelino Candau, riteneva che l’eradicazione della malattia fosse semplicemente impossibile.

Avevano capito che i vaccini da soli non sono sufficienti per contenere o debellare una malattia. Sarebbe invece essenziale combinare gli sviluppi tecnologici – come l’introduzione di vaccini liofilizzati e termostabili e l’ago biforcato (a due punte) – con sforzi come la sorveglianza, la ricerca dei casi, il tracciamento dei contatti, vaccinazione ad anello (il controllo di un epidemia vaccinando una cerchia di persone intorno a ciascun individuo infetto) e campagne di comunicazione per trovare, monitorare e informare le persone colpite.

Questo tipo di programma avrebbe incontrato varie sfide, dai finanziamenti a lotte politiche fino alle regole e alle abitudini culturali. Avrebbe anche avuto un costo pari a un’enorme fetta del 20% del budget dell’Oms e richiederebbe un decennio di lavoro intensivo – e verrebbe a scapito di altri interventi sanitari più basilari. Ma alla fine ha avuto successo. Il vaiolo, almeno fuori dai laboratori, era scomparso.

Tutto questo tempo e gli sforzi coordinati, anche se il vaiolo era in qualche modo un candidato ideale per l’eradicazione. Per prima cosa, i suoi sintomi erano così evidenti che identificarlo e rintracciarlo era semplice e dunque era anche il suo contenimento più facile. E il vaiolo è una malattia che ha colpito unicamente gli esseri umani e non altri animali. La sua eradicazione dalla popolazione umana ha coinciso con la sua eliminazione dal pianeta.

La storia dell’eradicazione del vaiolo è un esempio evidente di come le vaccinazioni altamente tecnologiche possano funzionare soltanto quando sono combinate in maniera efficace con strategie di salute pubblica a basso impatto tecnologico. Questi metodi includono l’isolamento e la quarantena, e in particolare il monitoraggio e la tracciamento, nonché elementi sempre più elusivi come la fiducia pubblica e una comunicazione efficace.

In termini forse ancora più chiari, la storia del vaiolo indica che il controllo di Covid richiede uno sforzo globale che tenga conto delle esigenze locali. Questo è in parte un imperativo etico, in parte pratico. Viviamo in un mondo con confini molto sfumati, anche in tempi di lockdown. Se il programma di eradicazione del vaiolo ci ha insegnato qualcosa, è che una tregua duratura da una malattia pandemica è difficile da ottenere, se non impossibile, se le nazioni insistono nell’agire in maniera separata.

La celebrazione dei vaccini anti-Covid segue una strada ampiamente percorsa, quella della presunzione che l’arrivo di un vaccino proclami la fine della pandemia. Eppure, nel caso del vaiolo, la nostra storia di maggior successo fino ad oggi riguardo all’uso dei vaccini, è stato necessario superare secoli di sofferenza e morte e un intenso sforzo nell’ambito della salute pubblica per contenere la malattia. La vaccinazione non ha posto fine al vaiolo. Questo risultato è stato ottenuto da un piccolo esercito di persone e di organizzazioni che hanno lavorato in modo intensivo e cooperativo in tutto il mondo, inventando e improvvisando una serie di misure per la salute pubblica.

Abbiamo ereditato in anni recenti una storia medica e politica che valorizza soluzioni e cure rapide, abbracciando queste in maniera cieca e contemporaneamente dimenticando i principi caotici alla base del funzionamento dell’assistenza sanitaria. Non è solo l’eradicazione finale del vaiolo, quindi, ma anche il caos individuale e generale a livello salute pubblica che ha creato scompiglio nel corso dei secoli che dovrebbe fare da guida ai nostri sforzi. Per questo abbiamo bisogno di creare aspettative ragionevoli sul modo in cui raggiungere la conclusione della nostra attuale pandemia e su quali strumenti sono necessari per arrivarci.

Articolo orginale pubblicato su The Conversation, traduzione a cura della redazione di Galileo.