Salute

Istituto superiore di sanità: lavoriamo a un vaccino contro tutte le varianti

Se è vero che i vaccini contro Covid-19 hanno cambiato la storia della pandemia, alleggerendo il peso della malattia, quelli al momento disponibili sono lungi dall’essere il prodotto ideale che speravamo, e non per gli effetti collaterali. Sappiamo infatti che la protezione indotta dalla loro somministrazione scema nel tempo, e che l’emergere di nuove varianti ne mette a rischio l’efficacia, in parte (considerando che, soprattutto con la dose booster, quelli attuali sono ancora efficaci nel combattere la malattia anche con omicron). 

Va da sé, dunque, che la ricerca sui vaccini anti Covid-19 prosegue, tentando anche altre strade oltre quelle già battute ed entrate nella pratica clinica. Puntando tanto all’utilizzo di nuove piattaforme quanto di nuovi target contro cui indirizzare la risposta immunitaria. Entrambe queste strategie sono alla base dei promettenti risultati relativi a un nuovo vaccino anti Covid-19 sperimentale – testato per ora solo nei modelli animali – sviluppato dai ricercatori del Centro nazionale per la salute globale dell’Istituto superiore di sanità (iss).

Il vaccino ideato dai ricercatori infatti si concentra su una proteina meno nota dell’ormai famosissima proteina spike, la proteina uncino che il virus usa per agganciarsi ed entrare nelle cellule. Parliamo della proteina N – N come nucleocapside – che si lega al genoma del virus, meno visibile rispetto alla spike, già da tempo identificata come possibile bersaglio terapeutico perché appare generalmente più conservata anche tra diverse varianti. L’idea di sfruttare aree poco variabili infatti è alla base dello sviluppo di terapie e vaccini che possano reggere l’evoluzione, imprevedibile, del virus. Ma non solo: la novità proposta dai ricercatori dell’Iss riguarda anche la piattaforma utilizzata per il vaccino, che utilizza un meccanismo fisiologico in vivo per produrre delle particelle bioingegnerizzate. Ma andiamo con ordine.


I nuovi vaccini contro omicron non convincono


Produrre il vaccino nel corpo

Alla base di tutto c’è la capacità delle cellule del nostro corpo di produrre vescicole, in sostanza piccole strutture membranose che possono trasportare una gran varietà di sostanze attraverso il corpo, materiale genetico come proteine per esempio. Queste vescicole possono essere indotte dall’esterno, come spiegano i ricercatori dietro lo sviluppo del vaccino. O meglio, si può sfruttare dall’esterno questo meccanismo fisiologico. Per esempio, è possibile introdurre del dna nelle cellule che codifica per una proteina mutata del virus dell’hiv e si osserva che questa proteina mutata viene incorporata in queste vescicole extracellulari

Se nel dna che si introduce, assieme a questa proteina, vengono date le istruzioni per la produzione di un’altra proteina, anche questa viene incorporata nelle vescicole, un fenomeno che i ricercatori studiano da tempo. Perché? Presto detto: queste vescicole bioingegnerizzate in vivo, raccontano, funzionano come dei trasportatori di antigeni, e possono stimolare la risposta dei linfociti T (in particolare dei linfociti T con capacità citotossiche). Di fatto dunque la sequenza è questa: viene prima introdotto il dna con le istruzioni di interesse (con elettroporazione, nei muscoli dei topi), e quindi vengono prodotte delle vescicole che viaggiano nel corpo, stimolando la risposta immunitaria, specialmente dei linfociti T.

E stimolare la risposta dei linfociti T è proprio l’obiettivo degli scienziati: se infatti, spiegano nel loro ultimo lavoro pubblicato su Viruses, non sono ancora chiare esattamente la qualità e la quantità di risposta immunitaria necessarie a fornire protezione dal virus (in termini di componenti cellulari o dosi anticorpali) diversi indizi fanno pensare che un ruolo centrale sia svolto dai linfotici T. I ricercatori dunque hanno cercato di capire se sfruttando queste vescicole per la produzione della proteina N in vivo – in alcuni topi – fosse possibile indurre una risposta immunitaria protettiva nei confronti del virus.

La vaccinazione con la proteina N protegge i topi

Per farlo hanno realizzato dei costrutti di dna per la produzione di vescicole tanto con la proteina N che con la proteina spike, per apprezzare eventuali differenze. La somministrazione del vettore di dna contenente le istruzioni per la produzione di queste proteina è avvenuta a livello muscolare, come anticipato, in alcuni roditori. Quello che hanno osservato è che una volta che i topi sono stati inoculati con una dose letale del virus, solo quelli immunizzati con alte dosi di proteina N riuscivano a sopravvivere. 

Non è chiarissimo perché l’immunizzazione con vescicole con la proteina spike non abbia funzionato, anche se gli esperti avanzano delle ipotesi. Forse, scrivono, è più facile per la proteina N accumularsi nelle cellule e indurre una risposta immunitaria. In più, hanno notato i ricercatori, la vaccinazione con la proteina N induce la formazione di linfociti T di memoria a livello dei polmoni, supportando l’idea di “una memoria immunitaria specifica a livello del polmone, di lunga durata”.

Una protezione contro tutte le varianti?

La parte interessante del lavoro dell’Iss è anche quella relativa alla possibilità che questo vaccino sperimentale possa fornire protezione contro le varianti. Se infatti nei loro test i ricercatori hanno usato per infettare solo un coronavirus – quello isolato a inizio pandemia allo Spallanzani – l’uso della proteina N come target vaccinale farebbe ben sperare. Il motivo è che, ricordano, questa proteina sembra abbastanza conservata tra le diverse varianti, per cui la risposta immunitaria sviluppata contro un virus dovrebbe tenere anche nei confronti di altre varianti. Da ultimo, e concludono i ricercatori, la risposta cellulare sembra scemare più lentamente di quella anticorpale.

Si tratta, è bene ricordarlo, di test preliminari, condotti su modelli animali, che prima ancora per efficacia a livello clinico dovranno essere testati per sicurezza, puntualizzano gli autori. E non è escluso che, se i risultati saranno incoraggianti, strategie vaccinali simili debbano essere associate a quelle già esistenti a base di mRna. Ma al di là di questo, la ricerca dell’Iss sembra muoversi in quella direzione suggerita da più parti, ovvero lo sviluppo di un vaccino efficace contro diverse varianti, che dia immunità di lunga durata, in alternativa allo sviluppo di vaccini aggiornati.

Via: Wired.it

Credits immagine: CDC on Unsplash

Anna Lisa Bonfranceschi

Giornalista scientifica, a Galileo Giornale di Scienza dal 2010. È laureata in Biologia Molecolare e Cellulare e oggi collabora principalmente con Wired e La Repubblica.

Articoli recenti

Una modifica al paradosso di Schrödinger per conciliare quantistica e relatività

Un gruppo di fisici dell’Università di Trieste (e di altri istituti) ha proposto una sorta…

23 ore fa

Il talco può aumentare il rischio di tumore?

Il colosso farmaceutico Johnson & Johnson pagherà 6,5 miliardi di dollari per chiudere le cause…

5 giorni fa

Mesotelioma, 9 casi su 10 sono dovuti all’amianto

Si tratta di una patologia rara e difficile da trattare. Colpisce prevalentemente gli uomini e…

1 settimana fa

Uno dei più misteriosi manoscritti medioevali potrebbe essere stato finalmente decifrato

Secondo gli autori di un recente studio potrebbe contenere informazioni sul sesso e sul concepimento,…

2 settimane fa

Ripresa la comunicazione con la sonda Voyager 1

Dopo il segnale incomprensibile, gli scienziati hanno riparato il danno a uno dei computer di…

2 settimane fa

Atrofia muscolare spinale, ampliati i criteri di rimborsabilità della terapia genica

L’Aifa ha approvato l’estensione della rimborsabilità del trattamento, che era già stato approvato per l'atrofia…

2 settimane fa

Questo sito o gli strumenti di terze parti in esso integrati trattano dati personali (es. dati di navigazione o indirizzi IP) e fanno uso di cookie o altri identificatori necessari per il funzionamento e per il raggiungimento delle finalità descritte nella cookie policy.

Leggi di più