Secondo un gruppo di ricercatori dei Centers for disease control and prevention (Cdc), che ha analizzato alcuni campioni provenienti dagli Stati Uniti, il virus del vaiolo delle scimmie starebbe mutando. È quanto emerge da un report pubblicato il 17 settembre scorso su bioRxiv, non ancora sottoposto a revisione paritaria: secondo il documento, diversi tra i campioni analizzati mostrerebbero eliminazioni e riarrangiamenti piuttosto importanti all’interno del genoma virale. Nonostante il virus che causa questa malattia tenda a mutare di meno rispetto ad altri virus, non è raro che questo accada; gli scienziati non sono allarmati, ma stanno comunque monitorando la situazione per capire in che modo queste mutazioni potrebbero influenzare l’andamento dell’epidemia di vaiolo delle scimmie.
Sorvegliare gli agenti patogeni
Che i virus mutino non è affatto una novità, ma ci sono alcuni che lo fanno più frequentemente e in maniera più efficiente di altri. Per esempio, i virus a rna come i coronavirus sono decisamente inclini ad accumulare mutazioni nel loro genoma: lo abbiamo visto con le varianti e le sottovarianti di Sars-cov-2 che, nel corso di oltre due anni e mezzo di pandemia, continuano a comparire e a diffondersi a livello globale. Ci sono altri virus invece, che mostrano tassi di mutazione nettamente inferiori: è il caso dei virus a dna come il Monkeypox virus, agente patogeno appartenente allo stesso genere del vaiolo umano e responsabile del vaiolo delle scimmie, malattia infettiva che dall’inizio del 2022 ha iniziato a diffondersi a livello globale e che è stata dichiarata dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) emergenza sanitaria internazionale. Comunque sia, anche i virus a dna vanno incontro a mutazioni: è per questo che la cosiddetta sorveglianza genomica (ovvero la raccolta, l’analisi e il confronto del materiale genetico di agenti patogeni) rimane una strategia fondamentale per il monitoraggio e la gestione di malattie infettive, in quanto la comparsa di mutazioni potrebbe influenzare in maniera significativa la loro diffusione, la diagnosi, oltre che l’efficacia dei trattamenti e degli strumenti di profilassi.
Vaiolo delle scimmie, i primi dati del genoma per capire da dove viene il virus
Per questo motivo, i Cdc, man mano che si registrano nuovi casi di vaiolo delle scimmie, ne raccolgono e analizzano il genoma, alla ricerca di eventuali modificazioni nel materiale genetico; è così che i ricercatori hanno fatto una scoperta inaspettata: un campione di Monkeypox virus, raccolto nel 2022 nello stato del Minnesota, presentava notevoli modificazioni del proprio dna. In particolare, mentre nel corso del 2022 la sorveglianza genomica del vaiolo delle scimmie si è concentrata sui cosiddetti polimorfismi a singolo nucleotide (ovvero piccole mutazioni a carico di singole “lettere” di cui è costituito il dna), il campione del Minnesota mostrava un ampio riarrangiamento genomico, in cui cioè erano modificate porzioni piuttosto grandi di materiale genetico.
Le mutazioni trovate
A questo punto i ricercatori hanno preso in esame altri 206 campioni provenienti da altri stati, per capire se quanto trovato in quello del Minnesota fosse solo un caso: nel documento si legge che almeno 7 di essi presentavano mutazioni simili, con grandi eliminazioni o riarrangiamenti genomici. Ciò vuol dire che non si trattava di modificazioni di una singola lettera del dna ma invece in alcuni casi erano assenti interi geni, oppure risultavano spostati in altre parti del genoma: in un campione di una persona infetta in Florida mancava un tratto pari a circa il 7% dell’intero genoma virale.
Cosa vogliono dire queste mutazioni per il futuro dell’epidemia? In realtà i riarrangiamenti trovati non sono del tutto nuovi: Lefkowitz, nel 2015, aveva infatti pubblicato uno studio in cui si dimostrava che mutazioni di questo tipo sono comuni nella maggior parte dei poxvirus (la famiglia a cui appartiene sia il Monkeypox virus sia il virus del vaiolo umano) e che generalmente i geni rimossi si trovano verso le regioni terminali del genoma virale, zone altamente variabili in cui non ci sono geni essenziali per il virus. Comunque sia, secondo gli scienziati è ancora presto per ipotizzare se e quale effetto sull’epidemia avranno queste mutazioni e quali potrebbero essere le reali implicazioni per la salute pubblica: un rischio potrebbe essere quello che, a causa delle grandi modificazioni, il virus non venga più riconosciuto dai test diagnostici, che si basano proprio sulla sequenza genica (ma non è questo il caso, in quanto tutti i campioni analizzati sono stati individuati tramite test molecolare). Ecco perché, conclude il documento, occorre continuare a sorvegliare il genoma del Monkeypox virus.
via Wired.it