Warfare state

Mille miliardi di dollari. È la cifra spesa in armamenti nel mondo durante il 2004. La parte del leone l’hanno fatta ancora una volta gli Stati Uniti: hanno stanziato per la difesa, in particolare per le operazioni in Iraq e Afghanistan, più di 450 miliardi di dollari, cioè il 47 per cento della spesa bellica mondiale. Su 159 paesi, ne bastano 15 per totalizzare l’85 per cento della cifra totale. Dopo gli Usa, infatti, seguono nell’ordine Gran Bretagna, Francia, Giappone e Cina, tutti paesi ricchi e industrializzati, quattro dei quali membri del consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. I dati emergono dal rapporto annuale su guerra, disarmo e sicurezza internazionale pubblicato dall’Istituto di Stoccolma per gli studi sulla pace (Sipri), secondo il quale la spesa globale potrebbe raddoppiare entro il 2010.

L’Italia figura al settimo posto con una spesa di 27,8 miliardi di dollari, confermandosi per il terzo anno consecutivo tra i primi dieci nella classifica. “Si riafferma a livello internazionale la forte spinta dell’industria bellica, soprattutto nei paesi che detengono la leadership mondiale”, spiega Riccardo Troisi, della Rete Italiana Disarmo e tra i coordinatori della campagna ControlArms. “La cosa preoccupante è che il business delle armi non fa parte solo di una logica economica ma appare sempre più integrato in una lotta per la supremazia e viene perseguito a discapito delle politiche per lo sviluppo. Secondo i dati Ocse, se per la difesa sono stati spesi più di mille miliardi, gli aiuti ai paesi più poveri hanno racimolato solo 60 miliardi di dollari. Per questo diciamo che le armi uccidono due volte: direttamente, ma anche perché distolgono l’attenzione da problemi più gravi”. Dal rapporto Sipri emerge inoltre che il giro di affari delle industrie belliche più attive arriva a superare il prodotto interno di alcuni paesi in via di sviluppo e che il fatturato totale della vendita di armi è paragonabile al Pil di alcuni paesi industrializzati. Le armi così prodotte finiscono per essere utilizzate nei 19 conflitti armati in atto nel mondo, per esempio in Nepal e in Uganda.

“Come si legge nella relazione della Presidenza del Consiglio al Parlamento del marzo scorso, l’Italia ha autorizzato l’esportazione di armi per un valore di 1,5 miliardi di euro, facendo registrare un aumento complessivo del 72 per cento delle esportazioni dal 2001 al 2004. Se consideriamo solo l’export delle armi leggere, il nostro paese si conferma primo esportatore in Europa e secondo a livello mondiale”, continua Troisi. “Nonostante le rassicurazioni del governo sulla destinazione delle armi, tra gli acquirenti troviamo paesi sotto embargo Ue come la Cina, paesi in cui sono stati documentati casi di tortura come la Malesia, stati in conflitto come India e Pakistan oppure altamente poveri e indebitati come Sudafrica, Brasile, Perù e Argentina”.La legislazione italiana in materia è vecchia di 30 anni e non esiste alcun controllo sugli intermediatori internazionali. La campagna ControlArms, curata in Italia dalla Rete Italiana per il disarmo, cerca a livello internazionale di contribuire alla promulgazione di un Trattato internazionale sul Commercio degli armamenti (Att) e alla revisione del Codice di Condotta Europeo sull’export di armi, tenendo alto il livello di monitoraggio e di analisi dei dati forniti.

“In Italia, invece, la nostra azione mira alla sensibilizzazione sul tema delle armi soprattutto leggere”, conclude Troisi. “I nostri obiettivi sono il rafforzamento della legge 185/90 sul monitoraggio delle esportazioni italiane, una legislazione più rigida e trasparente anche per la 110/75 che regola la commercializzazione delle armi leggere e infine chiediamo una legge sulla tracciabilità delle armi e sull’intermediazione”. Con le regole attuali, infatti, si possono esportare armi senza farle passare dal territorio italiano facendole partire da un altro paese grazie al lavoro di un esperto broker. “Abbiamo lanciato la foto-petizione per raccogliere un milione di volti entro il 2006, che saranno poi presentati ai governi di tutto il mondo in occasione della Conferenza dell’Onu sui traffici illeciti di armi leggere”.

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