La fuga sudamericana di Ettore Majorana

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“Mi piacciono le scelte radicali: la morte consapevole che si autoimpose Socrate, la scomparsa misteriosa e unica di Majorana”. Cantava così Franco Battiato nel 1992, omaggiando uno dei suoi concittadini più illustri e affascinanti. Ettore Majorana, classe 1906, fisico teorico di spessore eccezionale, abilissimo calcolatore, genio enigmatico e imperscrutabile. Genio – purtroppo per la scienza – in gran parte inespresso, dato che il fisico catanese scomparve improvvisamente nel marzo 1938, a trentadue anni. Fu visto per l’ultima volta a bordo di un piroscafo partito da Palermo e diretto a Napoli: da allora, più nulla. C’è voluto più di mezzo secolo perché si diradassero le nebbie che finora avvolgevano il suo destino: ora sappiamo con ragionevole certezza che Majorana non si gettò nelle acque del mar Tirreno. Nel periodo 1955-1959 era vivo. E si trovava volontariamente nella città di Valencia, in Venezuela.

Lo ha appena stabilito la procura di Roma, archiviando un fascicolo aperto nel 2011 per riprendere le indagini sulla scomparsa dello scienziato. I Ris hanno analizzato una foto scattata in Venezuela il 12 giugno 1955, che ritrae un certo signor Bini, emigrato italiano, vicino a uno sportello di cambiavalute: “I risultati ottenuti dalla comparazione”, dicono gli esperti, “del viso di Bini con quello di Ettore Majorana e con quello del padre dello scienziato, Fabio Majorana, quando aveva la stessa età del figlio, hanno portato alla perfetta sovrapponibilità delle immagini di Fabio e di Bini-Majorana, addirittura nei singoli particolari anatomici quali la fronte, il naso, gli zigomi, il mento e le orecchie, queste ultime anche nella inclinazione rispetto al cranio”.

Ci sono altri indizi che lasciano supporre che il misterioso Bini sia proprio il fisico scomparso. La testimonianza di Francesco Fasani, per esempio, un meccanico che ha raccontato agli inquirenti di aver conosciuto Bini a Valencia nel 1955: “Un uomo di mezza età, con cui non entrai mai in intimità stante una esasperata riservatezza, continuando a chiamarlo sempre ‘signor Bini’ e senza mai apprendere il suo nome di battesimo”. Fasani – da poco deceduto – ha spiegato di essersi occupato spesso della manutenzione dell’autovettura di Bini, “una StudeBaker di colore giallo sempre ingombra di appunti e di carte”, e ha sottolineato quanto Bini fosse refrattario a farsi fotografare. Accettò solo perché costretto da ragioni economiche, in cambio di un prestito di denaro da parte di Fasani, che in seguito inviò la foto ai propri parenti italiani. Inoltre, il meccanico ha raccontato di aver appreso la vera identità di Bini solo in seguito, da un rappresentante della comunità italiana a Valencia – un certo signor Carlo, mai più individuato, forse anche a causa dell’”inerzia degli organi diplomatici venezuelani a cui sono state richieste notizie, seppure fuori dall’ambito di rogatoria giudiziaria”, come fanno notare dalla procura di Roma.

E ancora: Sempre mentre era in Venezuela, Francesco Fasani regalò a suo fratello Claudio una cartolina datata 1920. Disse di averla trovata nella StudeBaker di quello che allora conosceva come Bini. Si trattava di una missiva diretta a tal W. G. Conklin, statunitense, che conteneva una serie di appunti relativi all’individuazione sperimentale della natura della forza di gravità. Il mittente era Quirino Majorana, fisico sperimentale e zio di Ettore. Una prova conclusiva, secondo il procuratore aggiunto Pierfilippo Laviani: “Il reperimento di siffatta missiva nell’auto di Bini conferma la vera identità di costui come Ettore Majorana, stante il rapporto di parentela con lo zio Quirino, la medesima attività di docenti di fisica e il frequente rapporto epistolare già intrattenuto tra gli stessi, avente spesso contenuto scientifico”.

Via: Wired.it

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