Sarjà, l’alba di una nuova era

Zarya 1998 costruzione iss cuore alba

Giovedì 4 dicembre 1998. Un altro passo verso l’esplorazione dello spazio. Dopo la messa in orbita, lo scorso 20 novembre, del primo elemento della Stazione spaziale internazionale (Sarjà, cioè alba), il secondo pezzo, Unity è stato messo in orbita da uno Shuttle e agganciato ad Alba. Il gigantesco meccano spaziale inizia così il suo assemblaggio in orbita, punto di non ritorno per un progetto iniziato quasi vent’anni fa. La controversia sull’utilità della Stazione spaziale, invece, continuerà. Polemiche e contrasti sono naturalmente collegati a tutti i grandi progetti scientifici, date le grandi risorse economiche necessarie. E’ più facile infatti mettere d’accordo i paesi sulla necessità di fare una guerra contro un nemico comune, che sull’opportunità di una collaborazione per esplorare lo spazio.

Il problema della conquista dello spazio non è cosa dei nostri giorni. Già Gilgamesh, cinquemila anni fa, si interrogava su chi fosse in grado di scalare il cielo. Ma le risorse necessarie per intraprendere questa avventura sono di natura planetaria, tanto che le giustificazioni per queste imprese sono sempre state legate a motivazioni politiche, unite a considerazioni di carattere industriale e militare. E così, per dare il via al programma Apollo per la conquista della luna il presidente J.F. Kennedy parlava di una gara contro il nemico. Mentre il programma Mir e il progetto della Stazione Spaziale nascono dalla collaborazione internazionale tra i due blocchi legata alla fine della guerra fredda.

E’ lecito domandarsi perché, per programmi cooperativi di questa portata, non si scelgano obiettivi diversi, come l’eliminazione di piaghe sociali o di gravi malattie dal mondo intero, o la soluzione del problema dell’effetto serra. Non conosco la risposta a questa domanda, ma credo che almeno in parte essa stia nell’intuizione che il destino dell’uomo è nello spazio, anche se forse non sappiamo bene come arrivarci.

Il problema non è nuovo. Ed era già stato affrontato nientemeno che da Cristoforo Colombo, in procinto di partire con le Tre caravelle alla ricerca delle Indie. Nelle cronache del tempo, si legge che nessun motivo di carattere economico e politico avrebbe potuto giustificare lo sforzo richiesto da una missione dagli esiti tanto incerti come quella del navigatore genovese. La decisione del re avrebbe dovuto basarsi su criteri diversi da quelli di un possibile ritorno in termini economici. E infatti fu una decisione negativa.

Nel caso dell’esplorazione dello spazio, invece di convincere re e regine, si devono convincere i governi, che a loro volta rispondono alla pressione dell’opinione pubblica. La scelta di intraprendere programmi di così grande portata è legata a un consenso a livello nazionale e internazionale, in cui ciascun elettore è chiamato a rispondere all’odierno Cristoforo Colombo che chiede di investire nell’esplorazione dello spazio. Capita così che nel coro delle risposte ci siano voci dissonanti. Come nel caso della Stazione spaziale, dove, ad esempio, parte della comunità scientifica si è schierata contro questa impresa, giudicandola scientificamente inutile ed economicamente dannosa: perché avrebbe ridotto drasticamente i finanziamenti destinati alla ricerca di base.

E’ vero che la maggior parte degli esperimenti di astrofisica si possono fare molto meglio con dei satelliti indipendenti. Ma le critiche rivolte alla Stazione Spaziale sono dirette all’obiettivo sbagliato. La Stazione Spaziale è infatti legata, più che al futuro dello studio dell’Universo, al futuro dell’uomo nello spazio. Lo stesso è accaduto con i viaggi degli esploratori del ‘500, che hanno prodotto non tanto il completamento delle esistenti carte geografiche, bensì una nuova visione del mondo e un nuovo modo di vivere sul nostro pianeta.

Diciamolo chiaramente: il ritorno scientifico ed economico di questa avventura non potrà giustificare per un lungo tempo gli sforzi messi in atto. Mai come in questo caso è necessaria una temeraria lungimiranza per portare a termine queste imprese. Le prospettive attuali sono incoraggianti. Sotto la direzione di Daniel Goldin, attuale amministratore della Nasa, gli Stati Uniti stanno trascinando l’intero pianeta verso la conquista dello spazio. E’ sotto gli occhi di tutti la straordinaria attenzione suscitata dal ritorno del vecchio astronauta John Glenn in orbita. O il successo di film come Apollo 13 (storia vera) o Armageddon (storia verosimile), entrambi realizzati con il supporto della Nasa. Ed è proprio dal fascino che suscita l’avventura nello spazio che occorre partire quando si discute dei grandi progetti come la Stazione spaziale, l’esplorazione di Marte o il motore spaziale del Nobel Carlo Rubbia.

Molto spesso, il tempo che intercorre tra l’idea iniziale e la sua realizzazione corrisponde a più di una generazione di scienziati. In questo caso si parla di visionari, di persone in grado di prevedere la realizzazione di idee che sembrano irrealizzabili. Nel 1952 il fisico americano di origine tedesca Wernher Von Braun descriveva una missione su Marte con 10 razzi interplanetari, 70 astronauti e tre moduli di atterraggio. Forse pensava a Colombo, che perse un terzo della flotta durante la spedizione, o alla spedizione di Magellano, che nei mille giorni della prima circumnavigazione del globo perse nove decimi dell’equipaggio, incluso l’ammiraglio. Cinquant’anni dopo, non ci sono ancora progetti concreti per un viaggio su Marte, ma la Stazione spaziale rappresenta un fondamentale passo in questa direzione.

Per quanto lo sforzo sia di fatto guidato da un singolo paese, gli Stati Uniti, la partecipazione di russi, europei (tra cui gli italiani) canadesi e giapponesi è concreta e visibile. Questo sforzo coordinato rappresenta il primo nucleo di un organismo internazionale per la conquista dello spazio. Visto in questa prospettiva, i vantaggi dell’operazione sono enormi, perché garantiscono lo sviluppo di programmi la cui vita si misura in decenni o meglio secoli, e che nessun governo, da solo, potrebbe mai pianificare. Imprese audaci, esposte ad ogni tipo di rischi e critiche. Ma che affrontano una delle domande da sempre nel cuore dell’uomo che recita con Gilgamesh: “Chi, amico mio, potrà mai scalare il cielo?”.

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