L’astronauta John Glenn, un giovanotto di 77 anni

Lo hanno chiamato “cowboy dello spazio” e “nonno delle stelle”. Hanno scritto che la sua missione a bordo del Discovery, partito il 29 ottobre scorso e rimasto in orbita otto giorni, aveva poco di scientifico. Hanno sostenuto che era soprattutto un’operazione di immagine organizzata dalla Nasa per riaccendere i riflettori dei media, ormai alquanto fiochi da quando le missioni dello Shuttle sono diventate routine, a poche settimane dall’inizio dell’assemblaggio della Stazione spaziale internazionale (operazione perfettamente riuscita, con la riesumazione di un altro eroe d’altri tempi, Walter Cronkite e il suo “Go, baby, go” ripetuto ancora una volta in mondovisione). E anche per ingraziarsi una fascia di elettori, e di contribuenti, destinata a diventare sempre più numerosa e importante: gli anziani. E tutto questo è in parte vero.

Ma bisogna ammettere che si rimane un po’ affascinati a incontrare questo arzillo signore con gli occhiali e i radi capelli bianchi: John Glenn, classe 1921, professione astronauta. Uno che ha iniziato a volare quando gli aerei andavano a pistoni e ora, che volano gli Shuttle, non ha ancora smesso. Anzi, fosse per lui, sarebbe pronto a ripartire anche domani, “ma non credo che mia moglie sarebbe molto d’accordo…”. E fa una certa impressione vederlo seduto accanto al suo collega Pedro Duque, classe 1963, primo astronauta spagnolo, e pensare che quando Glenn entrava nella leggenda dell’esplorazione spaziale, Duque non era ancora nato. E non si può fare a meno di pensare che sì, per arrivare a 77 anni con la sua energia, la sua grinta e la sua salute, ci si metterebbe subito una firma. Non c’è da meravigliarsi, dunque, se è stato lui il mattatore dell’affollata conferenza stampa che si è svolta il 18 gennaio nella sede di Frascati dell’Agenzia spaziale europea, lasciando agli altri tre astronauti che lo accompagnavano solo le briciole dell’attenzione.

Già, l’età che avanza. Ma, mister Glenn, qual è suo rapporto con la vecchiaia? “Mi piacerebbe poterla fermare…Scherzi a parte, il mio consiglio è di non vivere mai guardando il calendario, ma seguendo ciò che si sente e che si vuole fare. Noi vecchietti abbiamo esattamente le stesse speranze, gli stessi sogni e le stesse ambizioni dei più giovani”. Ma per i comuni terrestri è difficile immaginare quali sogni e che ambizioni possa ancora avere uno che ha scritto un pezzo di storia dello spazio diventando il primo americano in orbita. I

l pilota dei Marines e astronauta Glenn decollò a bordo della Friendship 7 il 20 febbraio 1962. Dopo 4 ore 55 minuti e 23 secondi e tre orbite disturbate da parecchi problemi tecnici, l’eroe nazionale Glenn rientrò sulla Terra. E divenne così “prezioso” che, pare, il presidente Kennedy in persona ordinò alla Nasa di non farlo volare più. Verità o leggenda? “Questa storia è saltata fuori in una delle tante biografie del presidente. Potrebbe essere vera, ma JFK non ne parlò mai direttamente con me. Di certo c’è che dopo il mio primo volo, durante il quale sapevo di aver fatto un buon lavoro, io volevo tornare su. Ma dal quartier generale arrivava sempre l’ordine di tenermi a terra, impegnato nei programmi di addestramento degli altri astronauti. La faccenda è andata avanti per circa una anno e mezzo. Alla fine mi sono stancato e ho deciso di dedicarmi alla politica. E ho fatto il senatore per 24 anni”.

Ma anche tra i sonnacchiosi banchi del senato John Glenn non ha mai dimenticato l’emozione dell’assenza di peso. Vedeva i suoi “nipotini” partire per missioni di settimane, addirittura di mesi. Mentre per lui c’erano state meno di cinque ore di gioia. Come un bambino a cui strappano un lecca-lecca appena assaggiato. No, bisognava tornarci, età o non età. E così, 26 anni dopo, nonno John si è rimesso il casco e la tuta. Ma quante differenze tra le gloriose capsule Mercury e gli Shuttle… “Allora la domanda era: ‘possiamo davvero farlo?’. Alcuni medici prevedevano che gli occhi si sarebbero deformati a causa dell’assenza di gravità. Nel mio primo volo avevo del cibo omogeneizzato da spremere da un tubetto. Non serviva tanto per nutrirmi, visto che il volo durava poco, ma perché i medici volevano verificare se mi era possibile deglutire. Oggi sappiamo benissimo che possiamo stare nello spazio e la domanda è diventata: ‘cosa possiamo farci?’. Oggi lo spazio serve per studiare cose che domani serviranno a tutti”. Già, ma nel frattempo non si sarà perso un po’ il fascino dell’avventura? “Non credo. Penso che i ragazzi siano affascinati dallo spazio proprio come lo erano trent’anni fa, anche se oggi le missioni sono molto più frequenti”.

John Glenn e Pedro Duque, il primo americano e il primo spagnolo, il veterano e il giovane rookie, il principiante. E c’è un momento di gloria riflessa anche per Duque quando gli chiedono cosa ha provato a volare con cotanto compagno. “Quando ho raccontato a un amico medico che avrei volato con Glenn, lui ha risposto: ‘beh, è come se io entrassi in sala operatoria con Ippocrate…”. Glenn si gira, mette una mano sulla spalla di Pedro e fa: “Ippocrate? Ehi giovanotto, io ho solo 77 anni…”.

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