Quella notizia è un Big Bang

Tutto inizia con una lettera che un allarmato lettore scrive alla redazione di Scientific American, una delle più prestigiose riviste scientifiche d’oltreoceano, a seguito di un articolo pubblicato dalla rivista stessa. Sul numero di marzo di quest’anno la rivista spiegava che al Brookhaven National Laboratory si stavano preparando esperimenti per tentare di riprodurre il Big Bang in laboratorio. Ma il Big Bang non fu appunto qualcosa che assomiglia a un’immane esplosione? E non è che a tentare di riprodurne anche una porzione infinitesimale potrebbe avere conseguenze catastrofiche? Queste le domande dell’allarmato e attento lettore. E per la verità, nella sua risposta la redazione lascia aperto qualche, seppur minimo, dubbio: non si esclude al 100 per cento la possibilità che l’esperimento dia luogo a strani fenomeni fisici.

Non è che l’inizio. Alcuni eminenti fisici, come Bob Jaffe, del Massachusetts Institute of Technology o John Nelson,della Birmingham University spiegano poi come non sia possibile escludere del tutto questi scenari catastrofici. E la faccenda arriva sulle pagine dei quotidiani. Il 18 luglio il Sunday Times di Londra pubblica un articolo molto allarmato, mentre il giorno seguente da noi “Il Messaggero” titola in prima pagina: “Scienziati fermatevi o la Terra sparirà”. Nell’articolo si legge che l’esperimento potrebbe generare un buco nero, di dimensioni minime, d’accordo, ma comunque in grado di inghiottire la Terra in pochi istanti. Immediatamente John Marburger, direttore del laboratorio di Brookhaven, emette un duro comunicato stampa in cui smentisce l’articolo del Sunday Times e qualsiasi possibilità di eventi da apocalisse. Ma qual è l’oggetto di questo acceso dibattito?

Il laboratorio di Brookhaven ha impiegato gli ultimi otto anni nella realizzazione dell’acceleratore Rhic (Relativistic Heavy Ion Collider), grazie al quale si potranno in parte riprodurre le condizioni ambientali degli istanti immediatamente successivi al Big Bang, la gigantesca esplosione che si suppone abbia generato il nostro universo.

All’interno dell’acceleratore, atomi di oro vengono ionizzati (vengono cioè privati degli elettroni esterni) e immessi nei due anelli, lunghi circa 4 chilometri ciascuno. Lungo gli anelli alcuni potenti magneti accelerano gli atomi d’oro in modo da farli viaggiare con energia molto alta. Ma i due anelli si intersecano più volte, ed è proprio in corrispondenza di questi incroci che avvengono tremendi impatti tra gli atomi che viaggiano in direzioni opposte.

Quando gli ioni d’oro si scontrano, danno vita a minuscole palle di fuoco di materia estremamente densa, la cui temperatura è circa mille miliardi di gradi (10 mila volte più alta della temperatura del Sole). In queste condizioni “estreme”, i nuclei degli atomi evaporano dando vita a un particolare stato della materia (plasma) in cui i componenti elementari (gluoni e quark) si combinano in modo particolare. E’ il plasma che raffreddandosi, dovrebbe poi emettere una pioggia di altre particelle, tra le quali potrebbero presentarsi degli interessantissimi oggetti chiamati “strangelets”. Si tratta di quark, ma con caratteristiche che, come dice il loro nome, sono assai strane. E se davvero spuntassero, i fisici di Brookhaven potrebbero cominciare a sentire odore di Nobel. Questo è in sintesi ciò che accadrà in autunno, e i fisici ritengono che sarà una replica di ciò che avvenne circa 15 miliardi di anni fa: il Big Bang, appunto.

E la possibile catastrofe? Gli scenari nefasti si basano su due possibili effetti collaterali dell’esperimento. In primo luogo, gli strangelets eventualmente prodotti sarebbero una nuova forma di materia, che quindi potrebbe reagire con ciò che li circonda, innescando una reazione a catena in cui tutta la materia che conosciamo potrebbe cambiare struttura e proprietà.

A questa possibilità risponde Frank Wilczek dell’Institute for Advanced Study di Princeton: “Ammesso che gli strangelets esistano (e questa già sarebbe una scoperta sensazionale) essi non avrebbero comunque una natura aggressiva e sarebbero estremamente piccoli. Dunque sarebbe facile limitarne l’evoluzione”. Aggiunge inoltre John Marburger: “L’energia delle collisioni che avverranno nell’Rhic è la stessa di reazioni provocate dai raggi cosmici che avvengono continuamente nel Sistema solare da miliardi di anni. E, come vediamo, tutti i pianeti sono tranquillamente sopravvissuti”.

Il secondo scenario apocalittico è invece quello del mini buco nero riportato da “Il Messaggero”. A smentire questa ipotesi è ancora Frank Wilczek: “Dal punto di vista teorico non sussistono le condizioni per la creazione di un mini buco nero nell’esperimento di Brookhaven. Ma se anche avessimo commesso errori nella teoria, non dovremmo preoccuparci: infatti se un fenomeno del genere potesse accadere, avrebbe già avuto luogo nella nostra atmosfera dove continuamente ci sono reazioni con energia pari a quella di Rhic”. A mettere la parola fine è comunque John Marburger: “Ho chiesto a esperti di vari settori della fisica di stilare un rapporto in cui si presentino al pubblico tutti le argomentazioni che mostrano come gli “scenari catastrofici” siano in realtà assolutamente sicuri. Appena pronto, sarà pubblicato e reso disponibile sul nostro sito web (http://www.bnl.gov)”.

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