Troppi telescopi sul Monte Graham

Monte Graham, Arizona, Stati Uniti. É questo il luogo dove ormai da anni si contrastano le esigenze della ricerca scientifica e le rivendicazioni culturali di un popolo, gli Apache, che lotta per la sua sopravvivenza culturale e religiosa. Dal 1993 sono cominciati sulla sommità della montagna, con l’autorizzazione del governo federale, i lavori per la costruzione di un centro internazionale di astrofisica che comprende tre telescopi. Uno fra questi, il Large Binocular Telescope, una volta terminato sarà il più grande mai costruito. Ma a fare notizia è un altro telescopio, già funzionante: quello di proprietà della organizzazione religiosa più grande del mondo, il Vaticano. Si tratta del Vatican Advanced Technology Telescope (VATT) realizzato in collaborazione con l’Università dall’Arizona e finanziato dalla Vatican Observatory Foundation grazie alle donazioni dei fedeli statunitensi.

E anche la disputa è di natura religiosa, visto che la montagna in questione, da sempre, rappresenta per le tribù Apache uno dei luoghi di culto principali. Nei giorni scorsi una loro delegazione è arrivata a Roma per spiegare le loro ragioni e protestare contro la violazione del loro luogo sacro. “Per la tradizione dei nativi americani”, dice Ramon Riley, direttore della Ricerca Culturale della tribù White Mountain, “è fondamentale raccogliersi in preghiera sul punto più alto del monte per essere il più vicino possibile al creatore.” Insieme a Riley c’erano anche dei rappresentanti dei San Carlos, un’altra tribù Apache, dei Navajo, degli Zunis e degli Hopi, altre popolazioni indigene.

E proprio il fatto che uno dei telescopi appartenga ad una organizzazione religiosa li aveva fatti sperare in una maggiore comprensione della loro istanze. Così non è stato. “Siamo stufi di questa storia”, afferma Padre Maffeo, un gesuita della Specula Vaticana, l’altro osservatorio vaticano di Castel Gandolfo, “sono anni che si trascina questa questione. Ci sono state anche delle sentenze dei giudici americani che hanno deciso che la costruzione dei telescopi era legittima. Noi abbiamo rispettato queste decisioni. Secondo queste persone non si dovrebbe toccare ne’ una pianta ne’ un animale, ma non pensano all’uomo. Per quanto ci riguarda loro possono venire quando vogliono a pregare sulla montagna, c’è posto per tutti.” La replica degli Apache e’ sintetica quanto efficace: “Cosa direbbero i cristiani se si costruisse un osservatorio sul monte Sinai?”

Ma i legami dell’Italia con il progetto del centro internazionale di astrofisica non finiscono qui. Il LBT (Large Binocular Telescope), infatti, sta prendendo vita da una collaborazione internazionale in cui il nostro paese è rappresentato dall’Osservatorio Astrofisico di Arcetri (Firenze). Per questo lo scorso anno gli Apache hanno scritto anche una lettera all’allora presidente della Repubblica italiana Oscar Luigi Scalfaro per chiedere la sospensione dei finanziamenti italiani. Ad oggi niente è ancora stato fatto e la costruzione del centro va avanti sempre più massiccia: dopo i tre telescopi è prevista la realizzazione di una linea elettrica lunga più di 40 chilometri, un complesso di abitazioni per gli scienziati e i tecnici, ed è in discussione l’approvazione di un nuovo progetto che prevede altri quattro telescopi. La posizione dei nativi americani inizialmente era di collaborazione con i responsabili del progetto, anche perché intravedevano la prospettiva di nuovi posti di lavoro ai quali avrebbero potuto accedere. Il nuovo impulso dato ai lavori li ha però preoccupati sulla possibilità che la loro montagna sacra venga profanata completamente.

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