2001, scudo nello spazio?

George Bush il Giovane non perde certo tempo. A poco più di cento giorni dal suo insediamento alla Casa Bianca ha già mostrato agli americani (e ahinoi anche al resto del mondo) che i suoi slogan non erano solo boutade da campagna elettorale, ma precise strategie politiche. E dunque, dopo aver buttato a mare i trattati di Kyoto e annunciato robusti tagli al budget per i parchi naturali, è ora la volta di occuparsi di un altro dei suoi cavalli di battaglia elettorali, tanto caro alle industrie aerospazial-militari che l’hanno finanziato: lo scudo antimissilistico, ribattezzato per l’occasione National Missile Defence. Un bell’ombrellone che dovrebbe mettere gli Usa, e qualora lo volessero anche gli alleati, al riparo da attacchi nemici.

L’idea, per la verità, non è del tutto nuova. Gli Stati Uniti rincorrono questo progetto da quando Ronald Reagan propose nel 1983 la sua Strategic Defence Initiative (Sdi), subito balzata agli onori delle cronache come il progetto delle “guerre stellari”. Si trattava in sostanza di costruire uno scudo difensivo spaziale, capace di intercettare eventuali missili balistici nemici prima che rientrassero nell’atmosfera e di distruggerli con un bombardamento laser da stazioni orbitanti. In questo modo la sicurezza degli Stati Uniti sarebbe stata garantita non più dalla minaccia della ritorsione, ma con un sistema in grado di mettere il nemico nell’impossibilità di colpire.

Il progetto si dimostrò subito assai costoso e di realizzazione difficile. Proprio per questo venne messo in soffitta in vista di tempi migliori. Che ora, secondo Bush, sembrano giunti. Il Pentagono intende iniziare a realizzare lo scudo entro il 2003, anche se non sarà operativo prima del 2010. Ma non è detto che tutto vada secondo i piani. “I problemi tecnici che esistevano ai tempi di Reagan non sono stati superati”, afferma Francesco Calogero, fisico dell’Università “La Sapienza” di Roma, e presidente del movimento Pugwash che riunisce ricercatori impegnati sul fronte del disarmo, “non si sa quale dovrebbe essere l’architettura di queste difese spaziali, né se funzioneranno”.

E quelle tecniche non sono le sole difficoltà. Gli Stati alleati degli Usa, per esempio, temono una nuova corsa al riarmo e la violazione di trattati internazionali. Per installare lo scudo anti-missile, infatti, Bush potrebbe decidere di violare, o almeno rinegoziare, il Trattato Abm (Anti Balistic Treaty) firmato tra Stati Uniti e Unione Sovietica nel 1972, su cui si basa tutta la politica del disarmo missilistico nucleare. “La necessità di rinegoziare il trattato Abm non è proprio imminente”, ci spiega però Calogero, “il programma può anche essere iniziato senza violare subito la lettera del trattato, anche se naturalmente se ne violerebbe lo spirito”.

E anche sul fronte del nemico da combattere, le carte sono cambiate parecchio dai tempi di Reagan. L’Impero del Male non c’è più. In compenso ci sono diversi “Stati terroristi”, che in caso di crisi internazionale potrebbero reagire con il lancio di testate contro il territorio americano. “Si tratta di potenze molto minori, alcune delle quali dotate di embrionali armi missilistiche e sospettate di progettare l’acquisizione di un proprio armamento nucleare, come l’Iraq, la Corea del Nord, la Libia, l’Iran”. Una reale necessità, quindi, o uno strumento per riaffermare il dominio Usa nel mondo?

Probabilmente è soprattutto un modo per tenere fede alle promesse fatte alle aziende del settore difesa da Bush durante la campagna elettorale. “L’idea di una difesa antimissilistica corrisponde a uno dei temi principali della campagna elettorale di Bush e della ideologia dei repubblicani”, prosegue Calogero, “c’era dunque da aspettarsi che una volta diventato presidente Bush avrebbe cercato di realizzare questo programma”. Il progetto coinvolge già oggi tutte le società che hanno ricevuto appalti dalla difesa Usa e prevede una spesa di 50 miliardi di dollari che si aggiungeranno ai 57 già spesi negli ultimi venti anni.

Nel dicembre 2000, la Boeing Space and Communications, la divisione del colosso aerospaziale che realizza satelliti militari, ha stipulato con il Pentagono un contratto da sei miliardi di dollari per lo sviluppo e il test del sistema anti – missile odierno. Altri contratti da 1,5 miliardi di dollari complessivi sono stati stipulati con la Trw di Cleveland per la costruzione di stazioni di comando, e con Raytheon, per lo sviluppo di sistemi di localizzazione missili e stazioni radar ad alta potenza. E ancora con la Northrop Grumman, che dovrà modernizzare la flotta di bombardieri B-2 e con la Lockheed Martin, che contribuirà a realizzare lo scudo stellare.

Di fronte a questo scenario “si rischia di ritornare a un clima di guerra fredda e di corsa agli armamenti”, conclude Calogero. E lo sanno bene i vari Paesi che finora hanno dimostrato comprensibili riserve e una grande cautela nei confronti del progetto statunitense. Se lo scudo si deve fare, dicono gli alleati, almeno lo si faccia in accordo con la Russia. E il presidente russo Vladimir Putin, proprio in questi giorni si è dichiarato favorevole a un dialogo strategico con Washington basato sul “principio del non nuocere”. Magari incoraggiato dalla promessa di coinvolgere nell’impresa anche aziende del suo paese. Un affarone. Ma resta la ferma opposizione della Cina. Intanto alcune delegazioni diplomatiche americane sono state inviate questa settimana in Oriente e in Europa. Molte le tappe previste, tra cui Roma e Mosca, per convincere i paesi alleati della necessità di abbracciare il sistema antimissilistico.

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