Noi, medici nel Cosmo

Nei mesi in cui Roberto Vittori si preparava alla missione Eneide, l’astronauta italiano non era seguito solo dai suoi medici personali, quelli dell’Esa (Ente Spaziale Europeo) e quelli di Roscosmos, l’Agenzia Spaziale Russa. A seguire il pool di medici che monitoravano lo stato di salute dell’astronauta italiano (il cui rientro sulla Terra è previsto per lunedì 25 aprile) c’erano infatti tre ufficiali dell’Aeronautica militare italiana Francesco Torchia, Paola Verde e Angelo Landolfi, rispettivamente specializzati in chirurgia, medicina aerospaziale e medicina iperbarica. I tre sono stati i primi non russi a seguire un corso di tre mesi di medicina spaziale presso la “Città delle Stelle”, il centro di addestramento dei cosmonauti, vicino Mosca. “Un’esperienza davvero importante per il nostro percorso professionale”, racconta il capitano Verde, “che ci ha avvicinato alla filosofia russa nel formare medici pronti a seguire astronauti durante la preparazione per un volo nello Spazio”.

La medicina spaziale russa

In cosa consiste questa filosofia russa? “Addestrare i futuri medici dello Spazio, come se fossero dei cosmonauti pronti a partire. Durante i tre mesi di corso, infatti, ci siamo sottoposti a tutte le prove fisiche a cui si è sottoposto lo stesso Vittori”. Per esempio? “La centrifuga: è un macchinario che simula le accelerazioni tipiche della fase di lancio o di rientro della Soyuz (la navicella che ha portato in orbita gli astronauti della Missione Eneide, ndr.). Inoltre, abbiamo fatto un training neurovestibolare per evitare la nausea che si genera dai conflitti che vivono gli apparati del nostro organismo che regolano l’equilibrio nella Stazione spaziale internazionale (Iss) in condizioni di microgravità. In particolare abbiamo eseguito il test di Coriolis: seduti su una sedia che ruota in senso orario dovevamo muovere la testa fino a provare nausea e quindi ad abituarvisi. Negli Stati Uniti non avviene così. Nei corsi simili al nostro si consiglia l’uso di farmaci anti-ematici per evitare la nausea”.

A livello teorico che cosa avete fatto? “Tra le cose che ci hanno insegnato i russi, l’uso di Gamma, un sistema centralizzato per archiviare tutti i parametri fisiologici degli astronauti che consente un continuo monitoraggio. Oltre a Gamma, siamo venuti a conoscenza di tutta una serie di strumenti per prevenire i disturbi tipici della microgravità. Come, per esempio, delle tute che “obbligano” la stimolazione di muscoli che nello Spazio non si usano, o braccialetti per le cosce che costringono i liquidi del corpo non salire in massa verso la parti alte. Inoltre, abbiamo ricevuto ulteriori nozioni sulla dieta alimentare dei cosmonauti, su come riscaldare i cibi, rivitalizzare l’ambiente nella Iss (far uscire anidride carbonica per far entrare ossigeno) e sul ciclo sonno-veglia degli astronauti che solitamente dormono appesi in verticale dentro un sacco a pelo”.

Finito il corso, qual è ora la vostra qualifica? “In gergo tecnico siamo diventati “space flight surgeon”. In pratica abbiamo la qualifica per preparare in futuro astronauti prima di una missione spaziale. Ma il sogno è un altro: “All’interno del centro sperimentale di volo dell’Aeronautica Militare di Pratica di Mare esiste già una sezione dedicata alla medicina aeronautica e spaziale. Il nostro obiettivo (anche di Francesco Torchia e Angelo Landolfi) è quello di essere il cuore di un laboratorio di medicina spaziale sempre più all’avanguardia. Qui potremo fare tanta ricerca per capire come reagisce un corpo sano all’ambiente spaziale. D’altronde, se si pensa di colonizzare in futuro lo Spazio bisogna comprendere al più presto come si comporta in orbita il nostro organismo”.

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