Così il robot impara l’altruismo

    La chiave del successo di molte specie come api e formiche è nel gioco di squadra. E potrebbe esserlo anche per i robot. Negli animali questo comportamento è innato, affinato dai processi evolutivi nel corso di milioni di anni. Alle macchine, invece, potrebbe bastare un solo algoritmo condiviso. Come quello individuato dai ricercatori dell’École Polytechnique Fédérale (Epfl) e dall’Università di Losanna (Svizzera). I risultati, descritti su PloS Biology potrebbero portare a generazioni di intelligenze artificiali (Ai) in grado di cooperare e agire con la precisione geometrica di uno sciame d’api.

    Negli anni ’60, il biologo evoluzionista William Hamilton aveva ipotizzato che un singolo individuo tende a sacrificare il proprio benessere personale a favore di quello della sua famiglia o comunità, anche perché in questo modo garantisce la sopravvivenza del patrimonio genetico condiviso. Obiettivo dei ricercatori svizzeri era allora capire se si potesse indurre lo stesso comportamento anche nei robot.

    Il team di ricerca coordinato da Dario Floreano, a capo del laboratorio di Sistemi intelligenti presso la Epfl, ha analizzato la diffusione dell’altruismo all’interno di 20 popolazioni di piccoli robot impegnati a cercare del ‘cibo’ in uno spazio chiuso. Compito delle macchine era quello di trovarlo e trasportarlo verso una base comune, per poi decidere se condividerlo o meno. In ogni popolazione era presente un differente numero di robot “imparentati” tra loro: come i membri della stessa famiglia condividono parte del patrimonio genetico, alcune macchine condividevano nelle rispettive memorie determinate serie di algoritmi. Tra le informazioni presenti nelle memorie c’era la formula usata da Hamilton per spiegare la sua teoria.

    Durante le simulazioni, gli studiosi valutavano le performance in base al fatto che i robot riuscissero o meno a ottenere il cibo. Dopodiché copiavano, mutavano e ricombinavano gli algoritmi appartenenti alle macchine che erano riuscite a nutrirsi, e li trasferivano in una nuova unità robotica, simulando così, in qualche modo, il processo di selezione naturale. La strategia veniva ripetuta per alcune “generazioni” successive di robot. Alla fine della sperimentazione, Floreano e i suoi colleghi hanno scoperto che anche nei robot le popolazioni di “parenti” tendevano a rispettare la teoria di Hamilton: le macchine che appartenevano alla stessa famiglia di algoritmi tendevano a collaborare nella ricerca e nella distribuzione del cibo, così che tutti gli individui del gruppo risultavano nutriti. In questo modo gli algoritmi tipici della famiglia sarebbero stati preservati e trasmessi alle nuove unità.

    “Grazie a questo esperimento siamo riusciti a selezionare un algoritmo che ci permette di ottenere la cooperazione attiva in qualsiasi altro tipo di robot”, ha spiegato Floreano su PLos. “Utilizzeremo questo codice altruista per migliorare i sistemi di controllo degli sciami di robot volanti. In questo modo potremo valutare se riusciranno a collaborare insieme per raggrupparsi in formazioni di volo più adatte alle diverse situazioni”.

    Riferimenti: PLoS Biology doi:10.1371/journal.pbio.1000615

     

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